Il concetto di bene e male ha subito molte interpretazioni, senza mai trovare un accordo universale. Per alcuni, il bene è sinonimo di utilità e vantaggio; per altri, è conforme alla volontà divina o alla natura. Il male, invece, è spesso associato a sofferenza, ingiustizia o ignoranza. In Occidente, i comandamenti divini hanno fornito una guida, ma la morale dell'interesse ha prevalso, portando a una visione del bene come utile e vantaggioso.
Oggi, i valori morali si mostrano confusi: coraggio e sacrificio sono visti come inutili, e il bene è ciò che porta vantaggio immediato. Nonostante questa visione, si continua a predicare onestà e sforzo, ma c'è una grande incertezza su cosa sia veramente giusto o sbagliato. Secondo l'autore, il bene è ciò che favorisce la crescita personale e sociale, mentre il male è ciò che va contro la vita. Peccato e vizio, visti come rifiuti di questa crescita, dividono la società e minano l'unità e la pace.
La morale evangelica è ritenuta fondamentale per l'evoluzione spirituale, ma non può essere l'unica guida. La scienza, insieme alla fede, è necessaria per una vita equilibrata. Una morale basata sulla natura è più aderente alla verità rispetto ai precetti religiosi: seguire le leggi della vita è più impegnativo che rispettare solo quelle della fede. Ogni individuo, nato con "tare ereditarie", è soggetto a sofferenze inevitabili, ma chi vive secondo le leggi della vita raggiunge una serenità che lo protegge anche nelle avversità.
La virtù, secondo l'autore, non è utopica ma fondamentale per il reale equilibrio umano, e la sua mancanza causa i disordini della società moderna. L'insegnamento delle virtù dovrebbe essere prioritario, includendo giustizia, prudenza, forza e temperanza, come proposto da Platone e adottato dalla teologia cristiana. Il peccato, inteso come trasgressione di queste leggi, porta alla decadenza e alla morte, e per questo è essenziale che ognuno sappia distinguere tra bene e male per garantire un ordine sociale stabile.
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