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sabato 24 dicembre 2011

Saremo amici, amici per sempre.


Sì, tu che sei il mio amore grande, sei anche amica mia. L’amicizia contiene tutto: amore, fiducia, rispetto, responsabilità, confidenza... L’amicizia tra due amanti sta proprio in questo.

Io e te insieme, oggi e domani, alleveremo la nostra prima creatura, forse la più preziosa: il nostro amore.

Un amore che non è una fredda formula chimica, ma un cammino quotidiano, da far crescere. Insieme andremo oltre la semplice somma dell’ “io” e del  “tu”, ma saremo un “noi” più profondo. Un “noi” contraddistinto dall’intimità, dalla passione e dall’impegno.
Solo così potremo aprirci per accogliere e donarci all’altro.
In quel “noi” siamo, nel nostro piccolo, interpreti dell’amore di Dio per l’umanità.

Il “noi”, come nell’amicizia, è saper fare squadra: essere in sintonia, sapere a cosa pensa l’altro per servirlo al meglio, nel modo più nobile che Dio ci ha concesso, appunto, l’amare.
Fare squadra è fare posto all’altro che è diventato la tua scelta; è mettere in secondo piano quelle proprie aspettative e aspirazioni, che intralcerebbero il cammino. Le squadre vincenti, infatti, hanno un progetto o un obiettivo comune.

Questo “noi” che cresce avrà bisogno di gradualità, ma nella consapevolezza della presenza di una fiducia reciproca, di un’intesa e di un equilibrio. Tuttavia ciascuno riceve e offre secondo il proprio carattere, sapendo che l’uomo e la donna amano in modo diverso.

Questo momento di crescita è per noi prezioso perchè ci permette di migliorare, di poter cadere e di ripartire con più forza di prima, senza scoraggiarci. Ogni momento di questo cammino servirà per prendere la distanza giusta: se si è troppo vicini non riusciamo a essere critici nei confronti dell’altro quando questi sta sbagliando; se si è troppo lontani non vediamo l’esigenze dell’altro.

Pensando a nostri “primi giorni” si fa fatica a capire il “mistero” che ci ha fatti unire: sembra impossibile capire come io e tu, così diversi, possiamo amarci così. D’altronde “il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”, vero?

Il “noi” sarà la nostra creatura, ma non dovremo scordarci che siamo “io” e “tu”: dalle nostre esperienze passate abbiamo imparato a stare in piedi con le nostre gambe, e ciò sarà prezioso  nei momenti di solitudine e tristezza. Nei momenti difficili occorre saper chiedere aiuto all’ ”amico”, perchè l’amico se ti vede triste è triste anche lui.

Ci saranno momenti in cui dovremo stare in silenzio, in attesa, portare l’ansia, avere pazienza, prenderci cura dell’altro e sapere litigare. Ma se ci sei tu so che l’impresa è possibile, perchè sei le fondamenta del “noi”, sei la colonna del mio cuore. Sapendo che quando pensi, pensi al nostro bene, in un difficile equilibrio tra i nostri apetti belli e brutti, è per me una grossa fonte di speranza.

Sei diventata il dono più grande che abbia ricevuto, e riesci a colmare, con la tua presenza, la mia vita.

Saremo amici, amici per sempre.

sabato 3 dicembre 2011

Ricordi: Proposte personali al consiglio diocesano di Modena (2007)


(ndr) con piacere ho ritrovato nel mio PC questa riflessione che avevo fatto durante i lavori del Consiglio Diocesano, nel gruppo dei giovani. Sono passati già 5anni...

Di Filippo Maria Gibellini.

I 5 ambiti:

Affettività

L’amicizia e l’amore sono sentimenti universali non solo di noi cristiani. Anche se, noi cristiani ne siamo consapevoli, che vivere questi sentimenti con Gesù sia meglio.
Perché allora anche noi cristiani abbiamo paura di amare e paura di far vedere che amiamo in maniera differente dagli altri, che c’è qualcosa di più... Questa è un’autocritica perché spesso siamo bravi a parole e meno nei fatti.
Il tema dell’affettività sembra poi un tabù, soprattutto per gli adulti, facendo si che i giovani non facciano domande e si comportino come la tv o il gruppo insegna loro. Non siamo certo a che fare con una televisione che fa audience trasmettendo “lectio divina” della Bibbia…

Esperienze come ritiri, campeggi e pellegrinaggi sono molto importanti nell’esperienza di una persona, se vissuti con intensità. Il laico si deve mettere in testa che deve essere lui l’artefice di quelle attività pastorali, che solo i preti non possono portare avanti da soli, visto che sono sempre meno numerosi e meno “simpatici” alla società.
Il laico protagonista del buon esempio, amando il prossimo. Protagonista non per farsi bello davanti a tutti, ricordandoci che siamo stati creati per amore e per amare, fino alla fine. Non sembriamo neanche cristiani, quando assistiamo ai consigli pastorali parrocchiali: invidie, dissapori e litigi… Non parliamo poi quando bisogna organizzare le sagre…
Talvolta l’adulto apprezza solo quei cristiani che sono già bravi, escludendo chi ancora non ha capito la bellezza della fede nel Vangelo. La comunità diventa così chiusa e impermeabile alle diversità: esclude.

I sentimenti di amicizia e amore sono i più belli che un uomo possa vivere. Compito di preti e laici cattolici, è far capire che l’amore è più bello, se vissuto con Gesù.

Proposta: Il sacerdote dovrebbe sfruttare di più la carta “laico”, senza trincerarsi dietro alle verità che solo lui può conoscere. Bisogna puntare l’attenzione sulla famiglia cristiana, cosa che un sacerdote non può vivere (anche se la sua famiglia  può essere l’intera parrocchia),  ma che può utilizzare come esperienza di affettività in Gesù. 
La famiglia sul modello cattolico deve essere il cardine della società e prima esperienza della vita affettiva. La sfida della chiesa e del cattolico è la difesa di questa famiglia.

Trasmissione

Proposta: La chiesa dovrebbe essere più presente nel settore delle telecomunicazioni. Perché non avere un canale televisivo a livello nazionale, viste le ultime liberalizzazioni rivolte al digitale terrestre…
Inoltre la Chiesa deve favorire il diaconato e altre forme di responsabilizzazione del laico, ponendo particolare attenzione alla FORMAZIONE

Fragilità

Nella mia comunità non ci sono casi eclatanti di fragilità, anche se risulta molto difficile andarli a scovare, visto che chi è non-credente si sente escluso a priori, pensando che la chiesa non possa dare un servizio.

Il problema di questo tema è che lo si affronta solo dopo avere toccato con mano la fragilità propria o altrui. Solo dopo capisci quanto arricchimento ti può dare, e quanta voglia e bisogno di formazione hai. Dopo, la fragilità ti coinvolge.
L’adulto laico, per primo non deve esclude, e far capire al giovane che esistono anche gente sfortunata, che soffre, che è fragile, ma che è da amare. Dare l’esempio hai figli nell’accoglienza della fragilità, come ha fatto Gesù.
Nell’età adolescenziale, quando ci sente forti e senza problemi, è molto difficile vedere la fragilità come una risorsa personale, in cui si possa trovare Dio.
Scoprire la fragilità (se fisicamente invisibile) di una persona è un’esperienza di comunione d’amore. In noi c’è un cambiamento, perché siamo portati a mostrare il nostro lato migliore.

Proposta: Dovere della chiesa e dei sacerdoti è farsi trovare pronti alla richiesta di formazione nell’aiuto delle fragilità.

Cittadinanza

Esistono gli spazi, in qualsiasi parrocchia, per partecipare concretamente alla vita comunitaria. Il rimboccarsi le maniche, lasciando a casa protagonismi inutili, è il modo migliore per dare il proprio contributo. La chiesa ne ha bisogno… (far del bene senza tornaconto).

Le istituzioni dovrebbero ascoltare di più i giovani e i loro disagi.
Dar loro spazio nella vita civile e politica. Si sa che il giovane ha più iniziativa e inventiva, anche se ha bisogno di essere guidato dagli “esperti della vita”. Spesso il giovane non viene considerato dagli adulti, che credono di avere la verità in tasca, solo perché più esperti.

Il problema della politica è del politico di professione che mette le radici nella poltrona.
Sempre quelli sono i nostri rappresentanti a Roma. A Modena invece se non sei di un certo colore non hai possibilità. La politica italiana di oggi è chiusa e ha perso di interesse e in consensi. Nel panorama di mille partiti non c’è n’è uno che per costituzione e per coerenza rispecchia l’ideale cattolico. O forse è giusto che non ci sia, visto che i cristiani praticanti sono ormai la minoranza della popolazione.

Proposta: La Chiesa deve creare una scuola di cultura politica cattolica, ispirandosi alle grandi figure del passato che l’Italia ha avuto l’onore di conoscere. La Chiesa lo deve fare anche per tutelare se stessa, vedendo l’assalto mediatico che subisce ogni volta che apre bocca. Semmai gettare le basi di un partito cattolico, senza violare la laicità di uno stato. 

Lavoro e Festa

La domenica è il giorno di incontro col Signore. L’operare in parrocchia con attività di catechesi e di animazione aiuta molto a entrare nel clima domenicale. Non strafare però, dimenticando la propria famiglia (la prima comunità in cui bisogna operare)e non dando spazio agli altri.

Per la festa ci sono varie proposte. Animare la messa con canti più moderni per attirare i giovani. Favorire la centralità della domenica con canti preghiere e offertori. L’importanza della figura del sacerdote o del diacono. Il sacerdote può preparare la comunità al vangelo domenica con incontri o riflessioni scritte.

Meno proposte per il lavoro. Nelle nostre aziende si avverte poco la cristianità, e forse anche il cristiano fa poca “pubblicità”… Il laico deve portare un dialogo cattolico, ma anche saper rispondere alle domande che gli vengono poste dai colleghi non credenti in officine e uffici.
A volte manca il coraggio di dire di essere cristiani, perché abbiamo paura di essere discriminati.

Proposta: Importanza formazione e catechesi agli adulti, a livello diocesano o parrocchiale.

Ricordi: L’incontro europeo della comunità di Taizè a Bruxelles (2007)


Mercoledì 07 Gennaio 2009 19:46

Erano circa 40.000 i fedeli venuti da ogni parte d'Europa per l'incontro della Comunità di Taizè svoltosi a Bruxelles. La città è la sede delle istituzione europee, e questo incontro ha avuto la finalità di dare un messaggio di speranza all'intera Europa, continuando il pellegrinaggio di fiducia sulla terra iniziato molti anni fa da Frère Roger, e proseguito dal suo successore Frère Alois.

Mai come in questo momento di crisi economica e di valori è necessario dare un messaggio di speranza e fiducia.

Gli incontri di Taizè hanno la prerogativa di essere rivolti a tutti i cristiani: cattolici, ortodossi e protestanti. Ognuno da il suo contributo alla fede in Cristo.

A Bruxelles, come a Taizè, la preghiera avviene tre volte al giorno: la mattina nelle parrocchie ospitanti, al pomeriggio e alla sera presso un padiglione della Fiera della capitale belga. Le campane suonano a festa decretando l'inizio di ogni preghiera.

Il popolo di Dio incontra il suo Signore nel silenzio, nel canto e nella semplicità della preghiera, che è accessibile a tutti.

Il silenzio è fondamentale nella preghiera. E' incredibile come, in silenzio e seduti ai piedi della croce, si possa aprire il proprio cuore a Gesù, affidandogli problemi e ringraziamenti. Nella preghiera e nel silenzio non si è soli: hai al tuo fianco i tuoi fratelli e sopra di te il Signore con il suo Spirito.

I canti brevi e ripetitivi aiutano la meditazione interiore. I brani del Vangelo, le preghiere e i salmi permettono a tutti di meditare e riflettere sui fondamenti della fede.

Se Dio è con te, non si ha paura di aprire il proprio cuore e amare. Aprendosi a Cristo nella preghiera e nell'ascolto della sua Parola, i giovani condividono tra loro le proprie aspirazioni e speranze, facendo l'esperienza della Chiesa come luogo di comunione e di amicizia.

Incontrare giovani provenienti da vari parti d'Europa, ti fa sentire realmente un cittadino europeo, diminuisce le distanze e avvicina i cuori. La Chiesa è quindi veramente la famiglia di Dio, senza confini.

L'allontanarsi dalla propria realtà per qualche giorno, ti permette riflettere senza farsi distrarre dalle ansie e preoccupazioni della quotidianità: in questo modo preghiera e silenzio diventano veri momenti di comunione con Dio. In questa comunione non ci possiamo nascondere e non dobbiamo avere paura.

In vista del nuovo anno, si ha quindi la possibilità di ricaricare le batterie con speranza e fiducia.

La linea guida dell'incontro è stata data dalla "Lettera dal Kenia" di Frère Alois, scritta durante l'ultimo incontro a Nairobi della comunità. La domanda che ci pone è: "Qual è la nostra sorgente di vita?"

Partecipando alla preghiera della comunità di Taizè la risposta è una sola: porre attenzione alla presenza di Dio, da cui attingere speranza e gioia. Così la nostra vita acquista senso, e aprendo a Dio le porte del nostro cuore, prepariamo anche la strada della sua venuta per molti altri.

Nel tornare a casa, ci salutiamo con la convinzione che se la nostra vita diventasse preghiera, l'amore di Dio raggiungerebbe tutti gli uomini e i risultati sarebbero evidenti.

Infine, per la gioia dei cristiani polacchi, il prossimo incontro europeo avrà luogo dal 28 dicembre 2009 al 1° gennaio 2010 in Polonia, nella città di Poznan.


venerdì 25 novembre 2011

Siamo cristiani o moralisti?


Un mio professore ci ha punzecchiato chidendosci se i cristiani di oggi siano degli "stoici travestiti da cristiani". Ovvero intendeva dire: persone che hanno mantenuto la morale cristiana senza però l'apporto dello Spirito Santo.

In effetti oggi si crede di vivere una morale cristiana senza Cristo: questo è tipico,  degli "atei devoti" e della massoneria. Ma senza Spirto e senza Cristo come è possibile vivere il comandamento "ama il tuo nemico"? Razionalmente (quindi con le proprie forze) un uomo griderebbe alla follia. Solo facendo una vera esperienza di Cristo riusciamo ad accedere e a capire la morale cristiana.

Tratto e adattato da Wikipedia:


Gli stoici sostennero le virtù dell'autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, come mezzi per raggiungere l'integrità morale e intellettuale. Nell'ideale stoico è il dominio sulle passioni o apatìa che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. Riuscire è un compito individuale, e scaturisce dalla capacità del saggio di disfarsi delle idee e dei condizionamenti che la società in cui vive gli ha inculcato. 


L'etica è un ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.


La morale è l'oggetto dell'etica. La morale rappresenta la guida secondo la quale l'uomo agisce.

mercoledì 16 novembre 2011

Il "caso" Galileo

Galileo Galilei di Vittorio Messori* - 19/01/2008

Stando a un'inchiesta dei Consiglio d'Europa tra gli studenti di scienze in tutti i Paesi della Comunità, quasi il 30 per cento è convinto che Galileo Galilei sia stato arso vivo dalla Chiesa sul rogo. La quasi totalità (il 97 per cento) è comunque convinta che sia stato sottoposto a tortura. Coloro - non molti, in verità - che sono in grado di dire qualcosa di più sullo scienziato pisano, ricordano, come frase "sicuramente storica", un suo "Eppur si muove!", fieramente lanciato in faccia, dopo la lettura della sentenza, agli inquisitori convinti di fermare il moto della Terra con gli anatemi teologici. 

Quegli studenti sarebbero sorpresi se qualcuno dicesse loro che siamo, qui, nella fortunata situazione di poter datare esattamente almeno quest'ultimo falso: la "frase storica" fu inventata a Londra, nel 1757, da quel brillante quanto spesso inattendibile giornalista che fu Giuseppe Baretti. 

Il 22 giugno del 1633, nel convento romano di Santa Maria sopra Minerva tenuto dai domenicani, udita la sentenza, il Galileo "vero" (non quello del mito) sembra mormorasse un ringraziamento per i dieci cardinali - tre dei quali avevano votato perché fosse prosciolto - per la mitezza della pena. Anche perché era consapevole di aver fatto di tutto per indisporre il tribunale, cercando per di più di prendere in giro quei giudici - tra i quali c'erano uomini di scienza non inferiore alla sua - assicurando che, nel libro contestatogli (e che era uscito con una approvazione ecclesiastica estorta con ambigui sotterfugi), aveva in realtà sostenuto il contrario di quanto si poteva credere. 

Di più: nei quattro giorni di discussione, ad appoggio della sua certezza che la Terra girasse attorno al Sole aveva portato un solo argomento. Ed era sbagliato. Sosteneva, infatti, che le maree erano dovute allo "scuotimento" delle acque provocato dal moto terrestre. Tesi risibile, alla quale i suoi giudici-colleghi ne opponevano un'altra che Galileo giudicava "da imbecilli": era, invece, quella giusta. L'alzarsi e l'abbassarsi dell'acqua dei mari, cioè, è dovuta all'attrazione della Luna. Come dicevano, appunto, quegli inquisitori insultati sprezzantemente dal Pisano. 

Altri argomenti sperimentali, verificabili, sulla centralità del Sole e sul moto terrestre, oltre a questa ragione fasulla, Galileo non seppe portare. Né c'è da stupirsi: il Sant'Uffizio non si opponeva affatto all'evidenza scientifica in nome di un oscurantismo teologico. La prima prova sperimentale, indubitabile, della rotazione della Terra è del 1748, oltre un secolo dopo. E per vederla quella rotazione, bisognerà aspettare il 1851, con quel pendolo di Foucault caro a Umberto Eco. 

In quel 1633 del processo a Galileo, sistema tolemaico (Sole e pianeti ruotano attorno alla Terra) e sistema copernicano difeso dal Galilei (Terra e pianeti ruotano attorno al Sole) non erano che due ipotesi quasi in parità, su cui scommettere senza prove decisive. E molti religiosi cattolici stessi stavano pacificamente per il "novatore" Copernico, condannato invece da Lutero. 

Del resto, Galileo non solo sbagliava tirando in campo le maree, ma già era incorso in un altro grave infortunio scientifico quando, nel 1618, erano apparse in cielo delle comete. Per certi apriorismi legati appunto alla sua "scommessa" copernicana, si era ostinato a dire che si trattava solo di illusioni ottiche e aveva duramente attaccato gli astronomi gesuiti della Specola romana che invece - e giustamente - sostenevano che quelle comete erano oggetti celesti reali. Si sarebbe visto poi che sbagliava ancora, sostenendo il moto della Terra e la fissità assoluta del Sole, mentre in realtà anche questo è in movimento e ruota attorno al centro della Galassia. 

Niente frasi "titaniche" (il troppo celebre "Eppur si muove!") comunque, se non nelle menzogne degli illuministi e poi dei marxisti - vedasi Bertolt Brecht - che crearono a tavolino un "caso" che faceva (e fa ancora) molto comodo per una propaganda volta a dimostrare l'incompatibilità tra scienza e fede. 


Torture? carceri dell'Inquisizione? addirittura rogo? Anche qui, gli studenti europei del sondaggio avrebbero qualche sorpresa. Galileo non fece un solo giorno di carcere, né fu sottoposto ad alcuna violenza fisica. Anzi, convocato a Roma per il processo, si sistemò (a spese e cura della Santa Sede), in un alloggio di cinque stanze con vista sui giardini vaticani e cameriere personale. Dopo la sentenza, fu alloggiato nella splendida villa dei Medici al Pincio. Da lì, il "condannato" si trasferì come ospite nel palazzo dell'arcivescovo di Siena, uno dei tanti ecclesiastici insigni che gli volevano bene, che lo avevano aiutato e incoraggiato e ai quali aveva dedicato le sue opere. Infine, si sistemò nella sua confortevole villa di Arcetri, dal nome significativo "Il gioiello". 

Non perdette né la stima né l'amicizia di vescovi e scienziati, spesso religiosi. Non gli era mai stato impedito di continuare il suo lavoro e ne approfittò difatti, continuando gli studi e pubblicando un libro - Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze che è il suo capolavoro scientifico. Né gli era stato vietato di ricevere visite, così che i migliori colleghi d'Europa passarono a discutere con lui. Presto gli era stato tolto anche il divieto di muoversi come voleva dalla sua villa. Gli rimase un solo obbligo: quello di recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali. Questa "pena", in realtà, era anch'essa scaduta dopo tre anni, ma fu continuata liberamente da un credente come lui, da un uomo che per gran parte della sua vita era stato il beniamino dei Papi stessi; e che, ben lungi dall'ergersi come difensore della ragione contro l'oscurantismo clericale, come vuole la leggenda posteriore, poté scrivere con verità alla fine della vita: "In tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa". 

Morì a 78 anni, nel suo letto, munito dell'indulgenza plenaria e della benedizione del papa. Era l'8 gennaio 1642, nove anni dopo la "condanna" e dopo 78 di vita. Una delle due figlie suore raccolse la sua ultima parola. Fu: "Gesù!". 

*tratto da: Vittorio MESSORI, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana Ed. Paoline, Milano 1992, cap. 178-180, pp. 383-397.

Perchè sui libri di storia se ne parla così poco?

Tratto da Wikipedia


Storia
Nati durante il periodo degli zar e probabilmente fondati da Pietro il Grande, erano usati come campi per i detenuti politici anti zaristi e personaggi scomodi. Dopo la rivoluzione bolscevica avvenne la liberazione di tutti i prigionieri, ma nel 1917 Lenin annunciò che tutti i "nemici di classe", anche in assenza di prove di alcun crimine contro lo stato, non potevano essere fidati e non dovevano essere trattati meglio dei criminali [...]

Questi venivano eretti per varie categorie di persone considerate pericolose per lo stato: criminali comuni, prigionieri della Guerra civile russa, funzionari e malversazione, nemici politici vari e dissidenti, nonché ex nobili, imprenditori e grandi proprietari terrieri.


Numero di prigionieri
L'evoluzione del numero dei detenuti nel Gulag (1930-1953) [...]
I flussi di entrata e di uscita dai campi erano molto consistenti; il numero complessivo di detenuti fra il 1929 e il 1953 è di circa 18 milioni. Nell'ambito più ampio dei "lavori forzati", si devono aggiungere circa 4 milioni di prigionieri di guerra, 700.000 detenuti nei campi di smistamento ed almeno 6 milioni di "confinati speciali", cioè Kulaki e altri contadini deportati durante la collettivizzazione, per un totale di 28.700.000.
[...]
Secondo Nicolas Werh, storico francese del Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, nel libro Storia della Russia nel Novecento alle pagine 318-9 si legge testualmente: «Le stime del numero di detenuti nel Gulag alla fine degli anni trenta variano tra i 3.000.000 (Timasheff, Bergson, Wheatcroft) e i 9-10.000.000 (Dallin, Conquest, Avtorkhanov, Rosefielde, Solzenicyn). Gli archivi del Gulag, confermati dai dati dei censimenti del 1937 e del 1939, dai documenti dei ministeri della Giustizia, dell'Interno e della Procura generale, danno una cifra di circa 2.000.000 di detenuti nel 1940 (circa 300.000 nel 1932, 1.200.000 all'inizio del 1937) a cui si aggiungono più di 1.500.000 deportati. Il numero cumulativo di ingressi nel Gulag durante gli anni 1930 diventa, tenuto conto dell'alta rotazione dei detenuti, di circa 6.000.000 di persone».
[...] Le assurde quote di produzione, la brutalità, la fame e la durezza di condizioni furono le principali ragioni dell'alto tasso di mortalità dei Gulag, che raggiungeva in molti campi anche l'80% nei primi mesi.
[...] I detenuti erano spesso costretti a lavorare in condizioni disumane.
[...]
« Per fare le camere a gas, ci mancava il gas »(Aleksandr Isaevič Solženicyn)

venerdì 19 agosto 2011

Meglio dare l'esempio anzichè parlare...

   Nella vita di tutti i giorni, frenetica e fulminea, è difficile fare il punto della situazione della propria esistenza. Spesso facciamo male a coloro che ci stanno attorno solo perché ci dobbiamo sfogare. Inoltre l'abitudine ci impedisce di guardare oltre, ci fa soffermare su quelle piccolezze che non amiamo negli altri.
   Io sono il primo a cadere in fallo. Sono il primo a dimenticarmi come sia meglio dare l'esempio anziché criticare a parole; sono il primo a evidenziare i difetti degli altri, addirittura senza accorgermene.
   In cuor nostro, se siamo convinti che un certo comportamento sia giusto allora mettiamolo in pratica per primi, anche se sembra controcorrente. Chi ci sta attorno ci ringrazierà di non essere "implacabili giustizieri", ma verrà influenzato da noi, dal nostro comportamento, pian piano, sottovoce. Nel silenzio è più probabile che emergano i sentimenti migliori.
   In effetti è più facile dire cosa si dovrebbe fare "teoricamente" anziché metterlo in pratica, soprattutto quando riguarda noi stessi. Se un amico secondo noi sbaglia, non obblighiamolo a parole a correggersi, ma mostriamogli con l'esempio quale sia la via giusta: Sì è proprio ciò che devo iniziare a fare!

mercoledì 2 marzo 2011

Tanto così!

Anni fa conobbi un bimbo che, nei suoi “discorsi” per descrivere una cosa grande apriva le braccia al massimo dell’estensione oppure apriva le manine mostrando le dieci piccole dita. Quindi diceva: “Tanto così!”

Nella mia vita personale sfrutto questa espressione per indicare, a braccia aperte, quanto voglio bene alla mia fidanzata. Le dico “tanto così” aprendo le braccia e lei mi risponde altrettanto. So che può sembrare un giochino banale e infantile, ma è molto bello e sincero.

Lo scorso Febbraio, ho partecipato alla veglia dei fidanzati in Duomo. In questa circostanza sono rimasto colpito, come ogni volta, dalla bellezza del Duomo di Modena, ed in particolare del suo interno, solitamente molto buio. Al centro nella navata centrale c’è il Crocifisso, che non è una “statua” (tridimensionale) ma è un dipinto (bidimensionale) appeso al soffitto. Questo dipinto rappresenta un Cristo che ancora non è morto, ha gli occhi aperti e rimane “staticamente” diritto sulla croce. Le sue braccia sono dritte e non piegate dal peso del corpo. Queste braccia tese mi hanno ricordato il gesto di quel bimbo che apriva le braccia al massimo e diceva “tanto così”.

Il paralleo è stato inevitabile: Gesù si è donato per noi sulla croce perchè ci ha amato e ci ama “tanto così”, immensamente ed eternamente. E' sempre interessante come nella vita e nei gesti di tutti i giorni gli "indizi" che portano a lui siano sempre presenti...

giovedì 24 febbraio 2011

Fate questo in memoria di me

Fate questo in memoria di me” dice Gesù istituendo l’Eucaristia (1Cor 11,23-25; Lc22,19-20; Mt26,26-29; Mc14,22-25).

La fedeltà all’Eucaristia, è, per il credente, il momento centrale della sua adesione a Gesù.
Il Battesimo è il seme. L’Eucaristia è il frutto, il centro della vita e del culto della Chiesa.
Nell’Eucaristia si ha la manifestazione più alta di Dio che santifica il mondo in Gesù ed è la risposta di fede più aperta e significativa con cui la Chiesa rende culto a Gesù. Gesù è la nostra Pasqua e il pane vivo; mediante la sua carne animata dallo Spirito Santo ridà la vita agli uomini che sono invitati a offrire al Padre se stessi, il proprio lavoro e tutte la cose create.
Gesù nell’Eucaristia si fa tutt’uno con i credenti. Questa intima comunione tra le persone divine e la Chiesa, tra Trinità e cristiano, si compie anche negli altri sacramenti, ma in modo eminente nell’Eucaristia, perché con essa Gesù ha voluto realizzare la Nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo.
Lc 22,20 -> allusione alle antiche profezie Ger 31,31-33. Con il suo sangue versato Gesù da compimento a questa alleanza tra il Padre, i discepoli e l’umanità, Gesù pone il suo sangue. Lui si dona in atto d’amore al Padre e ai suoi fratelli di carne c’è ora un vincolo nuovo.
Nell’Eucaristia il popolo di Dio si incontra con Gesù, garante di questa comunione-alleanza è lo Spirito Santo (Ez 36,26-27).

Rivestiti di grazia “rendiamo grazie”. La celebrazione è lode e ringraziamento alla Trinità. Per questo la Chiesa sin dai suoi inizi ha chiamato questo sacramento “Eucaristia”, ovvero rendimento di grazie.
L’Eucaristia anticipa il grande banchetto del regno, verso il quale la Chiesa pellegrina su questa terra, è diretta. Nell’Eucaristia Gesù è qui ora, presenza che è anticipo di quel Regno che verrà alla fine dei tempi quando tornerà glorioso per portare a compimento ogni cosa. L’Eucaristia si colloca sulla linea che va dal mistero pasquale di Gesù alla Parusia (compimento finale della salvezza 1Cor 11,26; Lc22,14-18).
Vero cibo e vera bevanda. Gesù non ci dona pane e vino come simbolo del suo corpo e del suo sangue, ma si fa nostro cibo nella realtà del suo corpo (Mt26,26). L’Eucaristia non è solo un gesto di buona volontà dei credenti che esprime comunione con Dio e con gli uomini, ma è il segno visibile della presenza reale di Gesù e del suo sacrificio.
Gesù si fa presente realmente sotto le apparenze del pane e del vino per unire a se in comunione di vita quanti ne partecipano. Una vita che è germe e inizio di risurrezione (Gv 6,48-51,54-57).
Gesù è presente nella sua Chiesa in diversi modi:
-nell’assemblea riunita (Mt 18,20)
-nella sua parola
-nei sacramenti (in cui agisce e mediante lo Spirito Santo salva il suo popolo)

Nessuna di queste presenze è così piena come nell’Eucaristia. L’Eucaristia contiene Gesù ed è “come la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i sacramenti” (San Tommaso).
Il Concilio di Trento ha accettato il termine “transustanziazione” per esprimere la conversione singolare e mirabile di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue di Gesù.
L’Eucaristia è il segno più evidente della comunione stabilita tra Dio e i credenti. Dalla comunione nasce la comunità, che trova nella partecipazione al corpo e al sangue di Gesù il suo momento culminante.
Comunità generata dall’amore di Gesù fattosi servo dell’uomo. Gesù che nell’ultima cena lava i piedi agli apostoli, è il comandamento d’amore tradotto in pratica (Gv13,14-15,34).
L’Eucaristia, memoriale del sacrificio di Gesù, impegna i cristiani a vivere la comunione eucaristica in una comunità che opera secondo l’esempio di Gesù, per una solidarietà nuova che non ha modelli perfetti sulla terra.

Non si va all’Eucaristia perché già viviamo la piena comunione con Gesù coi fratelli, ma perché vogliamo arrivarci in grazia del suo Spirito. La comunità riunita per l’Eucaristia supplica il Padre perché mandi il suo Santo Spirito a santificare pane e vino da essa offerti, e li faccia diventare corpo e sangue di Gesù dopo la Consacrazione. La comunità prega per divenire segno di comunione (offerta viva in Gesù).
Ciò che abbiamo visto, contemplato,mangiato, non dobbiamo solo annunziarlo, ma viverlo rendendo Eucaristia tutti i nostri rapporti col mondo. Il vero culto a Dio è la vita secondo la carità “fino alla morte”. Come Gesù è in comunione con Lui.
La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa. Nella Messa, la Chiesa massimamente si realizza in maniera visibile.

Tratto dal catechismo per gli adulti “Signore da chi andremo”

Chiesa e Domenica

La Chiesa.
La sapienza e l’amore di Gesù hanno scelto un altro corpo per starci vicino: è la Chiesa, in cui il Risorto si rende presente e vive. La Chiesa, la comunità di credenti innestati in Gesù , nella quale Egli continua la sua incarnazione, è il suo sacramento. Qui, in forza del suo Santo Spirito, ci incontra ed entra in dialogo con noi. Non c’è Chiesa senza Gesù e Gesù senza Chiesa: non c’è capo senza membra. Senza la Chiesa Egli sarebbe solo un profeta del passato. Nella Chiesa è il Dio con noi, l’Emmanuele.
La Chiesa è impegnata a custodire la fede e ad annunziarla, ad agire nel mondo come Gesù, con gesti resi efficaci dallo Spirito Santo da essa invocato. Nella Chiesa Gesù continua ad associare a se gli uomini, li santifica col dono dello Spirito Santo e li rende capaci di trasformare il mondo.
Al centro di questa azione sacramentale della Chiesa c’è l’Eucaristia. Il popolo di Dio infatti si edifica e cresce nel rinnovamento del gesto insegnato e comandato da Gesù (Lc 22,19). Nell’Eucaristia la Chiesa è redenta e resa una cosa sola nel corpo e nel sangue di Gesù, mediante l’azione dello Spirito Santo, per essere offerta al Padre, in un inno di ringraziamento.

La domenica.

Non c’è Chiesa senza liturgia, tramite la quale lo Spirito edifica la Chiesa e la spinge verso il futuro di Dio, che essa prefigura e pregusta.
La salvezza non è approvazione individuale, ma evento vissuto nella comunità che spezza il pane dell’Eucaristia e della carità fraterna.

Tratto dal catechismo per gli adulti “Signore da chi andremo”

Ecco l'uomo

Ecco l’Uomo”. Pilato presenta “profeticamente” Gesù alla folla. Gesù è veramente l’uomo nuovo che attraverso la via della croce, assunta su di sé, ricostruisce nell’uomo la dignità e l’immagine perduta.
Nella notte di Pasqua dal portale nel buio avanza la fiamma del cero pasquale simbolo di Gesù risorto. “Luce di Cristo”proclama tre volte il celebrante. A quella fiamma ciascuno accende la propria candela, per poi levarsi il grido della Risurrezione dall’assemblea. Lo stesso grido che corse all’alba del terzo giorno tra i discepoli: “il Signore è risorto!” È un’esperienza decisiva per i discepoli: la fede ricreata in loro cancella ogni smarrimento e sconforto. La Risurrezione di Gesù diventa un fatto della nostra storia. Passione, morte e risurrezione sono un unico mistero di salvezza, dalla morte alla vita,che si allarga alle dimensioni dell’eternità.
Un fatto realmente avvenuto: morte e risurrezione sono il compimento del progetto annunciato dalle Scritture. L’annuncio dei profeti si è avverato in Gesù. La storia di Israele doveva approdare a Lui, e da Lui riparte per raggiungere, attraverso i discepoli, gli uomini di tutti i tempi.
I discepoli testimoniano, a costo della vita, che la resurrezione è realmente avvenuta. Come la vita d’Israele e la sua salvezza derivano dall’Esodo dall’Egitto, così la vita nuova della Chiesa proviene dalla Risurrezione, senza la quale essa non esisterebbe e la sua fede sarebbe vuota.
La Resurrezione è un intervento diretto di Dio nella storia , al pari della sola creazione, e lo si può accogliere solo nella fede (non scientificamente) [Cor 15,11-14]
L’annunzio della Resurrezione va trasmesso e conservato: Gesù di Nazaret e il Signore risorto sono la stessa persona .
Gesù introduce ad una vita senza più morte. Ora ha un corpo vero, ma senza i condizionamenti di un corpo mortale, ormai libero dalle leggi della materia, incorruttibile e glorioso. Gesù ha accettato, per amore, il passaggio nella morte, e dalla morte Dio l’ha liberato. Tramite la Resurrezione di Gesù comprendiamo in pienezza che il lieto messaggio del Regno di Dio in mezzo agli uomini, il suo Vangelo, è questo: la vita, Cristo risorto, ha vinto la morte; l’uomo è redento, il regno si instaura. Mediante lo Spirito Santo siamo rinnovati dall’interno, diventiamo figli di Dio,e grazie al Figlio, eredi del regno. Gesù, vincitore della morte, vincerà anche la nostra morte. Da Gesù ha inizio la speranza.
La Pasqua è l’evento decisivo della fede cristiana.

Tratto dal catechismo per gli adulti “Signore da chi andremo”

Il memoriale

Pane e vino sono la base del pasto, per la Bibbia sono il nutrimento dell’uomo. Trasformati dalla parola di Gesù nel suo “corpo offerto” e nel suo “sangue versato”, essi sono la sua stessa persona che si dona per la salvezza degli uomini. Gesù è vero cibo e vera bevanda, offerto ai discepoli perché partecipino al sacrificio della sua stessa vita.
Come recita la liturgia, pane e vino “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, per la parola di Gesù vengono ad essere “cibo di vita eterna” e “bevanda di salvezza”. Nel pane e nel vino si riassume la fatica umana, liberata dal peso del peccato per entrare a far parte del disegno di Dio.
L’ultima cena di Gesù non è un addio:è un anticipo della sua Risurrezione. Quel corpo dato e quel sangue versato acquistano nella Passione quel senso di una reale donazione alla morte, perché da essa spunti la vita.
L’ultima cena è l’anticipo del memoriale che la Chiesa celebrerà come segno dell’offerta di Gesù (Lc22,19). È preludio del banchetto del Regno quando, alla fine dei tempi, si realizzerà l’unità della famiglia umana e di tutta la natura (Mt26,29). Tra la Pasqua di Gesù e la Pasqua eterna c’è un tempo in cui i discepoli (la Chiesa) e l’umanità saranno in cammino.
Il memoriale è il ricordo che rende presente nel rito la morte e resurrezione. Il gesto di donazione di Gesù rivivrà nei sacramenti, per incarnarsi nell’esistenza umana dei credenti, a testimonianza dell’amore di Dio per il mondo
Dal cenacolo Gesù passa nell’Orto degli Ulivi: è preso da angoscia e solitudine. Anche i dodici lo lasciano solo: gli apostoli che non riescono a pregare sono ancora carne. Gesù obbediente al Padre fino alla morte, è spirito che riesce ad assoggettare la carne, al prezzo di una sofferenza indicibile.
Gesù non va a Gerusalemme per combattere e coprirsi di gloria, ma per essere vittima dell’odio e della gelosia dei potenti. È consapevole di ciò che lo attende: sa che il suo comportamento attira inimicizie e gelosie (risentimento delle autorità religiose).
Per Gesù tutto ciò rientra nella visione della storia della salvezza. Non è sfrontatezza verso il dono della vita: Gesù soffre atrocemente nella carne e nello spirito e sperimenta in tutto il suo essere il dolore e la solitudine dell’uomo. Gesù va incontro alla morte con piena libertà e decisione come atto supremo di amore nei confronti del Padre e degli uomini.
I pochi che sono stati responsabili della sua morte sono i rappresentanti del peccato universale. Gesù è morto a causa dei peccati di tutti gli uomini e per la loro salvezza.

Tratto dal catechismo per gli adulti “Signore da chi andremo”.

Il compimento nell’Eucaristia

(Gv 13,1) La passione e la morte di Gesù Cristo esprimono nel modo più efficace il senso della sua esistenza terrena e tramanda nel mondo, nel modo più incisivo, la memoria del suo amore.
La sua “ora” è il compimento, è il tempo di passare da questo mondo al Padre, di essere da lui glorificato, di morire per portare frutto (“Se il chicco di frumento non fosse caduto a terra, non sarebbe fruttificato”Sant’Agostino).
L’ora della croce è il Battesimo del sangue per Gesù: lascia il mondo per tornare al Padre. Passa dalla condizione umana (mortale) alla condizione di vita in Dio.
I quattro vangeli descrivono approfonditamente la morte di Gesù. Le prime comunità cristiane ritennero indispensabile per la nuova fede evidenziare insieme alla risurrezione la morte dolorosa di Gesù (nonostante la vergogna e lo scandalo della crocifissione).
San Paolo predica Cristo crocifisso anche se suona scandalo e stoltezza per molti (1 Cor). La Gloria di Dio e la salvezza dell’uomo passano per la debolezza, la sconfitta e la morte.
Per Giovanni la Gloria di Gesù consiste nel consegnarsi liberamente alla morte, per amore di Dio, come agnello immolato per il peccato degli uomini.
L’ ultima cena è il preludio della Passione. Per gli Ebrei, la cena, il banchetto sono segni della comunione tra Dio e l’uomo. I sacrifici di comunione si offrivano al tempio di Gerusalemme e comprendevano il banchetto: i presenti mangiavano la vittima offerta a Dio e si sentivano in pace, in comunione con Dio e tra di loro. Anche Gesù usa l’immagine del banchetto (Mt 22,2). Nella Bibbia, l’abitudine quotidiana di riunirsi per mangiare insieme diventa anticipo di una realtà futura non ancora conosciuta.
Da memoriale della liberazione dalla schiavitù, da lode, benedizione e rendimento di grazie (Eucaristia) per le opere di Dio nell’Esodo, diventa segno di attesa della nuova Pasqua, della liberazione definitiva, la Pasqua del Regno.
L’agnello era simbolo della liberazione: il suo sangue cosparso sulle porte degli Ebrei li aveva scampati dal flagello abbattutosi sull’Egitto e aveva consentito loro di mettersi in viaggio verso la Terra Promessa. Gesù spiega agli apostoli che lui è il nuovo Agnello pasquale immolato per tutti.
Israele con il sangue delle vittime suggellò la sua alleanza con Dio; ora Gesù, con il proprio sangue, sancisce l’alleanza nuova, non più scritta sulla pietra delle tavole di Mosè, ma nei cuori degli uomini.
Il corpo offerto e il sangue versato sono il gesto manifesto di un amore infinito.(Lc 22,19-20)

Tratto dal catechismo per gli adulti “Signore da chi andremo?”

LA PRESENZA DI DIO, tratto dalle lettere di Fra Lorenzo

Per arrivare a Dio basta un cuore che si dedica a Lui e lo ama. Conversiamo continuamente, francamente, direttamente e semplicemente con Dio, per sentirne la presenza necessaria ad ottenere le sue grazie e i suoi soccorsi.
Confidiamoci e abbandoniamoci a Dio e facciamo con gioia la sua volontà, seguendo la sua via per ben comportarsi nella vita, lasciamoci giudicare dal suo amore senza interessi.
Se in questa vita si vuole godere del Paradiso, bisogna abituarsi al colloquio famigliare, umile e amoroso con Dio. Il nostro spirito non si deve allontanare. Il nostro cuore deve diventare un tempio in cui lo si adora.
La presenza di Dio deve essere naturale. Manifestiamola nell’amare i nostri amici, ma ricordando sempre il primo, Il Signore.
Pensiamo e parliamo a Dio nella giornata, nelle attività, nel divertimento, non lasciamolo mai solo… gli amici non si lasciano soli.
Siamo cristiani, in una parola il nostro mestiere: pensare e adorarlo sempre. Cerchiamo incessantemente la felicità tramite il Vangelo e la nostra fede.

La presenza di Dio nella DIFFICOLTA’ e nel DUBBIO
Non bisogna mai stancarsi di bussare alla Sua porta. Chiediamo aiuto, soccorso, una grazia, che Dio non manca mai di concedere per affrontare la vita. E’ importante consolarsi in Lui e chiedergli aiuto nelle decisioni difficili (nei dubbi) per conoscere la sua volontà e fare bene le cose che ci chiede di fare, per infine offrirgliele come dono. Dio ci aiuta se quello che si fa è per Lui, e lo scopo è quello di operare per il suo amore. Ci si santifica se quello che prima facevamo per noi ora lo facciamo per Dio. Se si è vicini a Dio, e si è con lui, non si teme più nulla, non si hanno più dubbi e tristezze.
Dio non guarda alla grandezza delle opere ma all’amore.

La presenza di Dio nel DOLORE
Il dolore è una prova dell’amore per Dio. Nel dolore non bisogna perdere la presenza di Dio, perché è Lui che ci da la forza di sopportare il dolore con cui ci intende provare. Farsi coraggio, non rassegnarsi e non abbandonarlo, offrire la propria sofferenza e chiedere la forza di sopportarla, intrattenersi con lui e ringraziarlo per le grazie ricevute: queste sono le azioni da compiere nella sofferenza.
Nel dolore dobbiamo quindi chiedere la grazia, con la quale tutto si semplifica, e dobbiamo rimanergli fedele in tutte le circostanze.
La fede deve essere il fondamento della nostra fiducia: la fede ci avvicina a Dio, ce lo fa toccare con mano, perché Lui c’è sempre, non ci lascia soli, non si allontana mai anche se noi ci allontaniamo. Quando Dio trova un’anima piena di fede la ricolma di grazie.
L’amore raddolcisce qualunque pena, a tal punto che, se siamo abituati alla presenza di Dio tutte le malattie del corpo sono più leggere e la sofferenza con Lui diventa un dolce paradiso; mentre i più grandi piaceri, senza Dio, sarebbero una pena crudele, un inferno.
Noi siamo sue creature che Dio può umiliare con infinite pene. In questa condizione non ci si stupisce se ci capitano mali, tentazioni e contraddizioni dal prossimo: bisogna sottomettersi e sopportare finché piacerà a Dio.
Nel dolore non si deve quindi chiedere a Dio di liberarci dalle pene e dai mali del corpo, ma di darci la forza di soffrire coraggiosamente finché a lui piacerà: consoliamoci in Lui, e ci libererà quando sarà più opportuno.
La gente considera le pene più gravi insopportabili a causa del falso punto di vista da cui le considera: si considerano le malattie come malanni naturali, non come una grazia. Una volta capito che tutto viene dalla mano di Dio, Padre pieno d’amore anche se ci affligge e ci umilia, tutta l’amarezza scompare e rimane la dolcezza.
Lui ci è vicino nell’infermità e nella malattia: è Dio il vero medico, è l’unico che da sollievo ai mali, anche se spesso lascia le malattie del corpo per guarire quelle dell’anima.


La presenza di Dio nella quotidianità
Per sentire la presenza di Dio è indispensabile avere fiducia, sapendo che Egli può rimediare a tutto, non ci abbandona e non ci inganna.
Durante il giorno, bisogna occuparsi di Lui, cercarlo e non pensare solo ai suoi doni, ricordando di allenare sempre lo Spirito, perché nella fede a fermarsi si retrocede. In questo modo si è veramente liberi e felici.
Dio è presente in mezzo a noi (e di questo non ne dubitiamo) e non lo dobbiamo cercare altrove lasciandolo solo, ma allontaniamo tutto ciò che non è Lui, sapendo che se non lo facciamo ne sarà dispiaciuto.
Per sentire il suo amore, esercitiamoci a confessare i peccati e le mancanze verso Dio, a riferirgli ogni nostro atto. Chiediamogli la grazia con fiducia, senza guardare ai nostri peccati (anche se ci vergogniamo di confrontare i nostri peccati con la Sua grazia) e confidiamo nei suoi meriti. Noi capiamo che lui ci ama perché, invece di punirci, ci abbraccia nella sua bontà e ci fa sedere alla sua Mensa. Accorgiamoci però delle nostre mancanze e pentiamoci nell’amore di Dio, altrimenti la confessione è inutile. Attendiamo poi con speranza la remissione dei peccati.
Dio è da considerare come un giudice (sentirsi peccatori davanti a lui), e come un padre (nostro Dio).

La presenza di Dio nella PREGHIERA e nella PENITENZA
Le penitenze e le preghiere servono ad arrivare a Dio mediante l’amore. Non importa che le nostre preghiere siano complesse, quello che Dio gradisce è che esse siano semplici, di poche parole e recitate col cuore. Questa attività è anche più semplice e la si può attuare più volte nella giornata.
Ricordiamoci inoltre che non c’è bisogno di gridare per farsi sentire da Dio, Lui è più vicino di quello che pensiamo, se in fatti preghiamo in suo presenza, Lui ci è vicino.

La nostra volontà e il male
Il male nasce dai pensieri inutili, il rimedio è  parlare con Lui, amarlo, e non occuparsi di futilità, il nostro spirito deve rinunciare a ciò che non è Lui e che ci allontana, per amor Suo. Agiamo nella fede con amore e umiltà, camminando verso Dio.
Nel momento della tentazione rivolgiamoci a Dio, e rinunciamo a tutto ciò che non tende a lui. C’è differenza fra le azioni dell’intelletto e della volontà: le prime sono poca cosa, le seconde tutto. La mente è vagante e la volontà è la direttrice delle nostre forze, che vanno richiamate verso Dio. Quando il nostro spirito vaga, l’unico rimedio è confessarlo e umiliarcene davanti a Dio. La volontà deve poter richiamarlo alla mente tranquillamente senza offenderlo. Senza di lui non possiamo nulla. Ma se siamo veramente fedeli saremo incapaci di offenderlo e genereremo in noi una santa libertà. Per eseguire la sua volontà gli unici mezzi sono la fede, la speranza e la carità. Tutto è possibile a chi crede, ma di più a chi spera, di più a chi ama e di più a chi esegue tutte e tre le virtù.

Gesù ed Eucaristia (per bambini)

Breve storia della vita di Gesù per i bambini che si preparano alla Prima Comunione.
Cittanova(MO) 2011.

Ho presentato questo testo ai bambini con le parole chiave mancanti.
Si sono divertiti un mondo, animati dallo spirito di competizione.

Dio è un papà invisibile, il papà di tutti noi.
Siamo tutti fratelli di un solo Padre.
Noi abbiamo un papà e una mamma, un famiglia vicino a noi.
Inoltre abbiamo un papà, Dio, una mamma, Maria, un fratello Gesù, una famiglia la Chiesa,e l’amore e la forza, lo Spirito Santo. Ma non si vedono…
Dio è una persona invisibile e vive in cielo, ma è vicino al nostro cuore. Dio è presente anche se non lo vediamo. Non dobbiamo avere paura, perché non siamo mai soli… Accanto ad ognuno di noi c’è un angelo custode.
Dio ha creato l’universo e anche l’uomo. L’uomo lo ha fatto simile a lui: è la sua creatura migliore. Ha creato tutto per amore dell’uomo. Quando non rispettiamo l’amicizia tra Dio e l’uomo commettiamo peccato. Chi ci tenta a fare il male è il diavolo, il grande nemico di Dio e dell’uomo.

A un certo punto della storia, Dio manda un uomo, Figlio di Dio, di nome Gesù. Egli è il dono più grande di Dio agli uomini.
Dio manda l’arcangelo Gabriele da Maria, il quale le annuncia la nascita di Gesù.
Nella sua vita Gesù insegna a tutti come “vedere” Dio e lo chiama “Padre Nostro”. Gesù è il dono di Dio. Gesù fu annunciato da tanti profeti (uomini con cui Dio aveva un grande rapporto di amicizia).
Maria è la mamma che Dio ha scelto per Gesù. Lo sposo di Maria è Giuseppe, e il suo mestiere è il falegname. Maria e Giuseppe vivevano a Nazaret. Noi festeggiamo la nascita di Gesù a Natale, dopo esserci prepararti per 4 settimane, chiamate Avvvento. Gesù nasce in una grotta a Betlemme. I pastori e i re Magi, guidati da una stella, arrivano ad adorare Gesù
Il cattivo re Erode è il primo nemico di Gesù.
La vita di Gesù è raccontata nel Vangelo, che significa buona novella. Gesù venne battezzato, all’età di trent’anni, da Giovanni il Battista, nel fiume Giordano. Da quel giorno Gesù inizia ad insegnare a tutti la parola di Dio. Gesù compie tanti miracoli perché è figlio di Dio. Gesù è sempre molto vicino ai più deboli. Da a loro una nuova speranza.
Gesù ha 12 amici che lo seguivano: gli apostoli.

La Messa, che celebriamo ogni Domenica, è il memoriale del sacrificio di Gesù. Gesù ha offerto la sua vita per noi. Memoriale significa rivivere, rendere presente.
La Messa si celebra di Domenica perché in quel giorno Gesù è risorto. Un Sacramento è un segno della grazia di Dio, istituito da Gesù per renderci santi.
Il Battesimo permette di cancellare il peccato originale. Col Battesimo diventiamo figli di Dio.
La Penitenza o Confessione è il sacramento per cancellare i peccati commessi dopo il Battesimo.

Gesù è risorto ed è tornato al fianco del Padre, dopo la morte in croce per prepararci un posto vicino a Dio, nel regno dei cieli.
Gesù è chiamato anche Signore, oppure il Messia, perché ci salva dal peccato. Noi possiamo farci perdonare i nostri peccati con la Confessione.
A Pasqua riviviamo la morte e risurrezione di Gesù.
Gesù verrà crocifisso nella città di Gerusalemme. Si trovava in quel posto perchè voleva festeggiare la Pasqua ebraica.
I simboli di questa festa sono l’agnello e il pane non lievitato, che gli ebrei, schiavi in Egitto, mangiarono la sera in cui Dio li liberò, con l’aiuto del loro “condottiero” Mosè. Dopo tanti anni di cammino nel deserto gli ebrei arrivarano nella Terra Promessa.
Gesù conosce la sua missione, e sa che dovrà morire per la salvezza dell’uomo, per liberarlo dalla schiavitù del peccato.
Il Giovedì santo Gesù è assieme ai suoi apostoli per consumare l’Ultima Cena. In quella sera Gesù fa quei gesti che oggi il sacerdote ripete durante l’Eucaristia: spezzare il pane, simbolo del suo corpo, e offrire il vino, simbolo del suo sangue, offerto in sacrificio per la Nuova Alleanza.
Quest’anno noi bambini riceveremo per la prima volta la Comunione, detta anche Eucaristia, il sacramento più importante per i cristiani.
Eucaristia significa rendere grazie a Dio.

L’apostolo Giuda tradirà Gesù. L’apostolo Pietro rinnegherà Gesù 3 volte. Essi sono il simbolo dell’infedeltà dell’uomo.
Dopo cena, Gesù esce con gli apostoli e si dirige verso il monte degli Ulivi, per pregare Dio. Ma gli apostoli si addormentarono.
Quindi Gesù viene catturato e arrestato da una folla guidata dai sommi sacerdoti. Gesù viene consegnato al Sinedrio (tribunale ebraico).
Il mattino seguente fu consegnato a Ponzio Pilato, il governatore romano. Egli non capisce le accuse a Gesù, ma la folla preferisce liberare il malvivente Barabba. Così Pilato condanna Gesù alla croce. Ora gli apostoli hanno paura. Intanto Gesù viene preso in giro, e viene vestito da re con un mantello rosso e una corona di spine.
Al mattino viene caricato della croce per essere condotto sul Golgota, una collina. Gesù senza forze viene aiutato da Simone di Cirene.
Arrivati sul Golgota, Gesù viene crocifisso e sulla croce viene attaccata la scritta INRI, che in latino significa “Gesù il Nazareno, re dei Giudei”.
Accanto a lui crocifiggono anche due ladroni. Uno buono e uno cattivo.
Ai piedi della croce c’è Maria, sua madre e Giovanni, il discepolo amato. Venuto mezzogiorno si oscura tutta la terra e fa buio per tre ore.
Un discepolo di Gesù, Giuseppe di Arimatea, avvolgerà il corpo di Gesù in un lenzuolo, lo metterà in un sepolcro scavato nella roccia e lo fa chiudere con un masso.
Due giorni dopo alcune donne si recano al sepolcro e vedono che il masso è rotolato via. Gesù, il Cristo, è risuscitato dai morti il terzo giorno dopo la sua morte. 

domenica 30 gennaio 2011

L'eterna diatriba tra bene e male, tra giusto e sbagliato.

L'indecoroso spettacolo che ci sta riservando la cronaca politica di questi tempi è sotto gli occhi di tutti. Penso che non sia nemmeno necessario commentare una situazione del genere, tanto è palese.
La questione che maggiormente mi preoccupa è la reazione delle persone: tutti sono diventati irreprensibili giudici. Tutti accusano e tutti giudicano. Siamo così permeati dalla mentalità di definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che diventiamo cechi giudici e severi moralisti.
"Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Ci siamo resi conto che siamo in una società che da sempre osanna il "machismo", l'individualismo, l'essere liberi e libertini? Non c'è bisogno di essere sapienti per notarlo. Oggi l'uomo vuole il successo, il denaro, le donne, relega la dimensione spirituale a puro "passatempo privato". Tuttavia, ora, gli stessi che hanno desiderato e che desiderano tutto questo, sentenziano e fanno i moralisti.
Non si tratta di difendere una persona particolare. Non si tratta di difendere la politica. La politica fatta da queste persone, figlie del nostro tempo, non può che essere caricatura della società attuale (esaltazione dell'odio, dell'individualismo, dell'interesse personale). 
La speranza è che questa situazione sociale faccia riflettere gli uomini che, anzichè divenire pubblici accusatori, possano diventare silenziosi operatori di bene, a partire innanzitutto dalle proprie famiglie, e di conseguenza, nella società. E' opportuno guardare dentro noi stessi per capire i motivi di questo declino delle nostre civiltà "avanzate".