Riflessione a seguito della
lettura del saggio di Gianfranco Morra “La cultura cattolica e il nichilismo
contemporaneo” ed. Rusconi del 1979. Durante la lettura del saggio è facile
trovare forti analogie col tempo che stiamo vivendo oggi.
Non ce ne rendiamo conto ma
chiamiamo progresso ciò che è degenerazione.
Ma dove sono i cattolici? Sembra che larghe aree della cultura
cristiana non siano coscienti della gravità della situazione e della
progressiva emarginazione dei valori cristiani della società. Pare che la cultura
cattolica abbia perso la battaglia, sia sul piano cultura che sul piano
politico, preoccupata del problema del potere e del numero: il partito
cristiano non è una necessità, ma lo abbiamo capito tardi.
Oggi,
la Chiesa è vista come un ostacolo (appena esprime la sua
opinione sulla morale sociale ecco che riesplode l’anticlericalismo) o come uno
strumento di cui servirsi: ma una Chiesa
amata dal mondo non sarebbe più Chiesa, un papa esaltato da tutti non viene
capito per ciò che è, ma giudicato dalle apparenze.
La
crisi non è solo fuori ma anche dentro la Chiesa: è importante curare la
formazione degli educatori e operatori nelle nostre parrocchie. I temi del
divorzio, dell’aborto, delle tesi marxiste sono inconciliabili con l’essere
cristiani.
Siamo
immersi in un’epoca di secolarizzazione
radicale che espelle sempre più i valori religiosi dalle sfere della vita
individuale e sociale. Una società atea non rispetta la religione, ma vuole
porsi al suo posto. Nascono così le ideologie e l’individualismo radicale. In
quanto atea, la società attuale è tendenzialmente totalitaria, con tutto ciò
che ne consegue: pianificazione culturale, educativa, economica, morale… Si
potrebbe definire un totalitarismo morale, che fa si che le minoranze vengano
rinchiuse in ghetti.
La
chiesa non può far altro che dare risposte chiare e precise: carità nella verità (titolo dell’enciclica
di Ratzinger, ndr). Il fatto che oggi la religione non sia più uno stato civile,
ma una scelta libera e personale, la rende pura, ma ciò richiede una chiara enunciazione
di principi e pratiche coerenti con la fede.
I
rischi che corrono i cristiani sono:
rifiutare il passato e la tradizione, complesso di inferiorità (confinamento
nel privato), clericalismo, sentimentalismo (mancanza di rigore, valutazione in
base alle mode e all’emotività), populismo. Il Vaticano II, nonostante la
ventata di novità, ha generato molti fraintendimenti. Occorre recuperare l’identità cristiana, occorre conoscere
il mondo per riorganizzare l’evangelizzazione, rifiutare il primato politico e
ripartire dai piccoli gruppi.
Il
cristiano non può essere ottimista in senso mondano, perché la croce per il
mondo è sconfitta. Non può essere nemmeno pessimista, in quanto la resurrezione
distrugge ogni pessimismo.
L’evoluzione della cultura
e della società (civiltà).
La
massima presenza dei valori cristiani nel temporale si ebbe nei secoli definiti
ideologicamente “medioevo”.
Per
la cultura ellenica (greco-romana) e per la cultura ebraico-cristiana il
fondamento del reale è una Realtà spirituale, autonoma e potente (Nous, Logos,
Idea, Uno, Dio): primario è lo Spirito e la materia è secondaria e derivata
(non-essere o creatura);
La
cultura moderna, gradatamente, capovolge questo rapporto: il rapporto non va
più dall'alto al basso, ma dal basso (fattori materiali) all'alto (fattori
spirituali); l'uomo, che pur è la più alta essenza spirituale, deriva dalla
materia per un processo evolutivo (Darwin
- uomo prodotto da circostanze casuali e ambientali), dai rapporti
economici di produzione come sovrastruttura (Marx – uomo prodotto dei rapporti sociali), da una sublimazione
distorta dell'istinto sessuale o libido (Freud
- l’uomo è un istinto represso, attivo, bestiale, infantile alogico e
sessuale);
Assistiamo
alla « morte dell'uomo »: l'uomo
perde la sua natura, in quanto diviene il risultato di un processo in cui
l'ameba si è perfezionata, la dialettica economico-sociale lo ha determinato e
il meccanismo degli istinti e delle pressioni lo ha prodotto; ma insieme con la
natura scompare quel diritto naturale, che era pur sempre l'ultima difesa della
dignità della persona umana.
In
una situazione del genere, il cristianesimo poteva porsi nuovamente come forza
animatrice della civiltà. Era necessario un progetto globale, che partisse
dalla consapevolezza della fine dell'epoca sacrale e cercasse di inserire il
messaggio cristiano anche nell'epoca profana (l'utopia della "nuova
cristianità", enunciata da Maritain
nel decennio 1930-1940).
Maritain
parte dal riconoscimento pieno che il mondo moderno, soprattutto per opera dei
Tre riformatori, e cioè di Lutero, Cartesio e Rousseau, ma anche di Kant e di
Marx, si è configurato come una radicale cultura anticristiana: « Sembra giunto
il momento, per il cristianesimo, di tirare tutte le conseguenze dal fatto che
il mondo uscito dal Rinascimento e dalla Riforma, ha terminato di separarsi da
Cristo. Esso non ha alcuna solidarietà da accettare nei confronti dei principi
di corruzione che travagliano un mondo che si ha motivo di considerare come il
cadavere della cristianità medievale ».
Il
cristiano è, per definizione, antimoderno ma ciò non significa
passatista o conservatore (cosa mai conservare del mondo moderno? ); significa,
piuttosto, rivoluzionario e reazionario, ultramoderno, nel senso che si deve
essere proiettati verso un futuro (la "rivoluzione" cristiana), che
volga le spalle (la "reazione" cristiana) alla perversione moderna.
Se, infatti, la cultura medievale è finita ed irrecuperabile, una « nouvelle
crétienté » potrà nascere solo dalle ceneri della cultura moderna. Quando il
marxismo propone una civiltà totalmente secolarizzata, apre la strada al
totalitarismo; ma quando Barth distacca totalmente la fede dalla religione e
dalla cristianità, egli rende la fede sterile e la confina nell'intimità del
soggetto. E’ necessario, invece, fare nascere una nuova cultura, interna alla
civiltà secolare e profana, ma capace di incarnarvi i valori cristiani e di
salvaguardare sia il carattere soprannaturale della Chiesa sia la legittima
autonomia delle realtà temporali.
È
noto che la forma di convivenza sociale più idonea per tale operazione viene da
Maritain ritrovata nella democrazia. Non già la vecchia democrazia,
individualistica e borghese, prodotta dall'illuminismo e rifiutata una volta
per sempre dal Sillabo (1864); ma una nuova
democrazia che solo in un « tempo molto lontano » potrà realizzarsi. Per
accogliere nel suo seno l'animazione cristiana; infatti, la democrazia deve
essere, secondo la nota affermazione di Cristianesimo e democrazia, «
personalistica, comunitaria, pluralista e teistica ». E Maritain era troppo
realista per illudersi circa l'immediata attuazione di un simile progetto di «
Stato laico cristianamente costituito ».
L’incontro
tra democrazia e cristianesimo non si è mai tradotto in un’animazione cristiana
della democrazia, ma della perdita dei valori cristiani.
Oggi
l’ateismo e l’indifferenza sono un
fenomeno di massa. Gli elementi della morale religiosa sono andati perduti. L’uomo
è al centro, crede solo a ciò che sente e prova, predilige solo ciò che dice la
scienza e la tecnica, diffondendo così l’opinione che tutto può essere fatto e
che le cose vanno anche senza Dio.
La
festa non è più un tempo sacro ma un
giorno in cui non si lavora. La festa non è santificata ma consumata. La religione
viene relegata a piccoli gruppi e nel tempo libero. I cristiani hanno il
compito nell’epoca attuale di riorganizzare la propria fede (sorretta dalla
grazia) in una società che non la sostiene più.
Non
si accetta più una verità, ma tante
verità relative. L’uomo areligioso si ritiene l’unico operatore della storia e
rifiuta qualsiasi richiamo alla trascendenza.
Non
è più, la civiltà nostra, pre-cristiana, ma post-cristiana. Solo demitizzando i miti inautentici e miscredenti
di questa civiltà (scientismo, storicismo, evoluzionismo, progressismo,
autonomia…) che sarà possibile porre l'uomo contemporaneo nelle migliori condizioni
per un recupero religioso. Non è un paradosso affermare che l'uomo
contemporaneo, passato dalla credenza attraverso l'indifferenza alla miscredenza
ha bisogno di ritornare dalla miscredenza alla credenza attraverso
l'indifferenza nei confronti di quegli idoli contemporanei che non vanno
blanditi o corretti, ma rifiutati e smascherati.
In
questa opera di recupero il cristiano trova nel "paradosso" della
fede la migliore garanzia, in quanto sa che « ciò può essere impossibile per
gli uomini; ma non per Dio, per il quale tutto è possibile » (Mc. 10,27): « I
momenti più importanti nella storia dell'uomo, di questa possibilità
personificata, sono i cambiamenti che accadono così, causati da forze dapprima
invisibili e inosservate.
Da
Galileo, da Cartesio e da Bacone, prende l'avvio lo scientismo moderno, con quel nascondimento del "mondo della
vita", che non consente più di vedere I'uomo, ma solo aspetti parziali e
misurabili dell’attività umana.
Rifiutando
Dio, l’uomo non sa più chi è
(notiamo le recenti novità introdotte dalla teoria del gender, ndr). L’uomo non
sa più cos’è, non sa più da dove viene. Mentre per le antropologie ellenica e
giudaico cristiana lo spirito è autonomo e non deve alla realtà materiale la
sua realtà.
Se
i secoli della modernità hanno reso
sempre più oscura l'eclissi della ragione, di pari passo è andata la secolarizzazione del soprannaturale,
sottratto ormai all'escatologico e divenuto ideologia del mondano. Dio vivente
e verace si è storicizzato e socializzato; Cristo è stato umanizzato totalmente
e la storia divinizzata.
La
religione diviene così un elemento del progetto politico; Habermas: « L'idea di
Dio è preservata nel concetto di un logos che determina la comunità dei
credenti e con ciò il reale contesto di vita di una società che si emancipa;
Dio diventa il nome di una struttura comunicativa che costringe gli uomini,
pena la perdita della loro umanità, a trascendere la loro natura empirica,
accidentale, incontrandosi gli uni con gli altri mediatamente, ossia tramite
qualcosa di oggettivo, che con essi non si identifica ».
I
"nuovi cieli" e la "nuova terra" vengono identificati con
il progresso mondano, anche se colorito religiosamente; "l’altro
mondo" diviene un "mondo altro", alla cui promozione umana tutti
possono concorrere, indipendentemente dalla evangelizzazione.
Quella
ascesi di coscienza, che era sollecitata dalla tensione verso una Realtà
inaccessibile e pur presente, viene dimenticata per un impegno nel temporale e
nel provvisorio, mediante la utilizzazione delle tecnologie per scopi di sempre
accentuato benessere. L'epoca della modernità, nel suo carattere prevalente,
vede il trionfo di una cultura sensista — che è la cultura più ostile alla
filosofia. Non a caso il
sapere scientifico permane, anche se spesso diviene scientismo; e il sapere
religioso continua ad attrarre, anche se molto meno che nel passato, perché si
esprime quasi sempre in termini fideistici. Il sapere filosofico appare,
invece, nella civiltà sensista attuale, come il grande assente.
Assistiamo
oggi ad una crisi causata dall’ideologia
radicale (negazione dei valori, individualismo…). Questi i suoi aspetti
principali: rifiuto della legge naturale, rifiuto dell’autorità (del padre),
rifiuto del peccato originale (deresponsabilizzazione), morale della situazione
(ogni norma viene messa in dubbio per giustificarsi) non ci sono più valori
oggettivi (Nietzsche – nichilismo), fino alla divinizzazione del peccato (De
Sade). Amore, parola magica che apre tutte le porte (se c’è “amore” tutto è
consentito). Divinizzare l’uomo significare rendere impossibile la morale.
La
morale in sé non è la salvezza ma
consente una convivenza umana meno negativa e violenta. Il fine ultimo
dell’uomo non è la morale ma la beatificazione. La morale laica, è una morale
cristiana senza soprannaturale.
Il
mondo classico non ebbe una
tecnologia perché non volle. La scienza ellenica e medievale furono
prevalentemente contemplative. Il loro scopo non era la trasformazione della
natura, ma la conoscenza del cosmo (non sfruttamento ma adattamento alla
natura). Nell’epoca moderna la
scienza ha avuto la pretesa di essere il sapere assoluto (scientismo), di
essere una scienza atea, forte legame con lo sfruttamento della natura. La
scienza contemporanea ha perso
questa pretesa assolutistica, perché non ha saputo rispondere agli
interrogativi dell’uomo. La scienza ha
fatto fuori il sapere religioso e metafisico, facendo poi la stessa fine.
La
tecnica viene in soccorso della scienza cercando di rendere gli uomini “morali”
e “su misura” grazie all’ingegneria genetica. Non esistono più ideali ma ideologie con la conseguente crisi della politica.
Scuola e Libertà di
educazione (principi non
negoziabili…, ndr).
Criticità
significa necessariamente pluralismo: non quello decantato e apparente della
pseudodemocrazia laicista, ma quello reale e sostanziale, che trova nel
rispetto per l'altro il suo fondamento. È chiaro, infatti, che l'introduzione
di un genuino pluralismo culturale è la premessa necessaria per fare della
scuola uno strumento di maturazione e di crescita umana e sociale. Parlo di un
duplice pluralismo: pluralismo nelle scuole, capace di superare l'egemonia
totalizzante e antidemocratica della scolastica liberai-radicale e marxista;
pluralismo di scuole, per dare realmente a tutte le famiglie la possibilità di
scelta del tipo di educazione da offrire ai loro figli (come afferma l'articolo
29 della Carta Costituzionale) .
Una soluzione politica. Non basta una riforma legislativa:
sarebbe necessaria la formazione e maturazione di una genuina coscienza
democratica, che in Italia è ancora lontana; e sarebbe necessario che detenesse
il potere un partito democratico e cristiano, capace di operare nel rispetto
della autonomia legittima del temporale e insieme nella fedeltà ai principi; in
grado di realizzare progetti scientificamente fondati e non improvvisati da
persone incompetenti o pressappochiste; superiore alle tentazioni del potere ad
ogni costo, ai giochi delle correnti e alla demagogia populistico-emotiva.
In
tale pluralismo il cristiano dovrà inserirsi con gaudio e speranza, pronto a
cogliere dovunque i "segni dei
tempi".
Occorre
un cambiamento delle associazioni
cattoliche, disgregate e senza aggiornamento, che le trasformi da
istituzioni di una società cristiana in movimenti profetici di minoranza, volti
alla realizzazione di un nuovo cristianesimo, adeguato ai tempi secolarizzati,
ma non inginocchiato di fronte al mondo.
Un
altro fatto negativo è la crisi della identità
cristiana, che ha condotto, per un malinteso complesso di inferiorità, non
poche associazioni ecclesiali a non avere più, di cattolico, se non il nome; a
rifiutare il magistero della comunità ecclesiale; a porsi al servizio delle forze
anticristiane; a gettare nel bidone una ricca tradizione di teologia e di
filosofia, di costume e di liturgia, non già per "aggiornarla", ma
per trasformarla in una retrograda parassitaria di quella tradizione non
cristiana che lo stesso pensiero laicista da tempo considera, almeno in parte,
superata e non più utilizzabile.
Il pericolo costante del
cattolicesimo è il ritardo culturale,
al quale si può rimediare solo con la riconquista di quella identità cristiana,
che costituisce l'unum necessarium per
la fondazione di un progetto educativo nuovo e alternativo. La riconquista
dell'identità non cela alcun progetto di esclusione o di settarismo; intende
solo non mimetizzare il cristiano, non camuffarlo, perché possa parlare il
linguaggio chiaro del Vangelo, in una totale disponibilità per l'altro, ma alla
luce della Verità rivelata e custodita da quella tradizione che è Chiesa.
Il
cristiano non si deve lasciare intimorire dalla trappola ricattatrice del pensiero laicista, che accusa di
integralismo chiunque voglia essere cristiano senza aggettivi. A questa accusa
il cristiano può con serenità rispondere: se integralismo significa fanatismo e
clericalismo, certo non lo sono, anche se so dove andarlo a cercare; ma se
integralismo significa coerenza e decisione, rifiuto di compromessi, allora il
mio integralismo coincide con il mio cristianesimo. Tradizione è innovazione.
Ma
la riconquista dell'identità non può restare un fatto privato e nascosto. Deve tradursi in una genuina comunione
ecclesiale, dato che non v'è cristianesimo senza Chiesa. Il cristiano non si
isola e non si emargina, ma si riconosce nel popolo di Dio, vede in ogni uomo
il volto di Cristo, si accosta con disponibilità e servizio ai pastori,
fratelli nella fede, e al papa, vicario di Cristo sulla terra. A chi lo accusa,
allora, con un nuovo anche se logoro e scontato ricatto, di essere un conservatore,
il cristiano risponde che ben poco v'è da conservare, oggi, in ciò che la
società e la scuola sono diventate. Il progetto cristiano non è conservatore,
ma innovatore sulla base della tradizione (= portare avanti) popolare.
Identità e comunione, infine, per svolgere un progetto di liberazione. Il cristiano non vuole una
scuola accademica, né burocratica, né ideologica, ma una scuola che educhi
integralmente la persona: una scuola di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, capace
di liberare dai limiti dell'egoismo, dalle necessità materiali, dall'ignoranza
intellettuale, dal disordine morale — da tutto quanto ostacola la crescita
della persona, il cui fine ultimo non è naturale o storico o mondano. Una
scuola che liberi nell'uomo una dimensione più alta e profonda, alla luce di
quella speranza cristiana, che non può essere confusa con nessuna attesa
mondana.
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