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martedì 30 novembre 2010

Preparate la via del Signore


Giovanni Battista suona la caricaPreparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!! Giovanni è esempio di attesa e di preparazione al Natale. Col suo battesimo voleva dirci che occorre convertirsi per accogliere il Salvatore. Già oggi per la nostra fede siamo cristiani, ma ogni giorno dobbiamo diventarlo seguendo Gesù.
Il Signore viene continuamente in mezzo a noi per alimentare la nostra speranza di salvezza. Lo possiamo rifiutare o accogliere. Lo si accoglie nel suo insegnamento e nelle persone che abbiamo accanto. Gesù viene per tutti, e viene per salvarci. Solo con la pace e la riconciliazione possiamo prepararci alla sua venuta. Ora, non siamo soli, viviamo insieme alla gente questo momento: impariamo a perdonarci e ad amarci, come figli di Dio.
Il cristiano è colui che aiuta Gesù affinchè il suo progetto di salvezza sia vivo sulla terra. Il cristiano è colui che vive nel presente e guarda al futuro, cercando di essere un testimone credibile del Vangelo.
L’Eucaristia è la “vitamina” dei cristiani: i ricorda che siamo fratelli in una grande famiglia e figli di un solo Padre. Riusciamo a vivere intensamente il rapporto col Padre se siamo in pace e in comunione con gli altri.
Il profeta Isaia è colui che annuncia Giovanni come la «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» Isaia aspira ad una società perfetta come esigenza di fraternità e comunione. (tratto da Isaia 11,1-10) “Un virgulto germoglierà e su di lui si poserà lo spirito del Signore; Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire, ma giudicherà con giustizia e prenderà decisioni eque. La sua parola sarà la sua arma, così che il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto...“
(tratto da Matteo 3,1-12) Giovanni il Battista predicava nel deserto, gridando: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Giovanni era un grande, ma umile, profeta del Signore. Egli contestava il comportamento dei suoi contemporanei («Razza di vipere!»), ma tutti andavano da lui per ascoltare e per essere battezzati per il perdono dei peccati. Giovanni annunciava Colui che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco” e chiedeva la conversione del cuore.
Non crediamo che basti avere fede ed essere battezzati per essere salvi. Occore cambiare vita, essere umili, avere coraggio, aprire le tende che abbiamo davanti agli occhi e che non ci permettono di vedere la luce della vera speranza. Sforziamoci di migliorare: il cristiano spera in un futuro migliore e deve impegnarsi a costruirlo. E’ importante individuare le strade storte (dubbi, paure, individualismo) per scegliere la “retta via” con l’aiuto di Dio, il quale vuole solo il nostro bene.
(tratto dalla lettera ai Romani 15,4-9) “Grazie alle Scritture teniamo viva la nostra speranza. Dio ci aiuta ad avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti di Gesù, perché uniti possiamo rendere gloria a Dio Padre. Così come Gesù ha accolto e si è fatto servitore, anche noi dobbiamo accogliere e servire gli uni gli altri
Letture II Domenica d’Avvento 2010: Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12

domenica 7 novembre 2010

Domenica ed Eucaristia

Il latino "dies dominicus" è il giorno del Signore. Il greco "eucharisto" è il rendimento di grazie.

La Domenica è il cuore, il primo giorno della settimana, è il luogo primordiale dell'Eucaristia, memoriale della morte e resurrezione di Gesù Cristo, il quale si è donato per la nostra salvezza.

Domenica ed Eucaristia sono l'incontro col Signore risorto: insieme celebriamo la sua Pasqua, punto focale dell'identità cristiana.

Domenica ed Eucaristia formano un circolo di fede: la Domenica senza Eucaristia sarebbe un giorno qualunque; l'Eucaristia senza la sua proclamazione nel giorno del Signore perderebbe di forza.

Benedetto XIV nell'esortazione apostolica "Sacramentum Caritatis" l'ha definita il sacramento della carità.

"1. Sacramento della carità, la Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l'amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l'amore « più grande », quello che spinge a « dare la vita per i propri amici » (Gv 15,13). Gesù, infatti, « li amò fino alla fine » (Gv 13,1). Con questa espressione, l'Evangelista introduce il gesto di infinita umiltà da Lui compiuto: prima di morire sulla croce per noi, messosi un asciugatoio attorno ai fianchi, Egli lava i piedi ai suoi discepoli. Allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci « fino alla fine », fino al dono del suo corpo e del suo sangue. Quale stupore deve aver preso il cuore degli Apostoli di fronte ai gesti e alle parole del Signore durante quella Cena! Quale meraviglia deve suscitare anche nel nostro cuore il Mistero eucaristico!" Benedetto XVI - Sacramentum Caritatis.

Perchè la Domenica è definita l'ottavo giorno? La Domenica è un giorno nel tempo e oltre il tempo. Quello che avviene è un evento più grande della storia stessa. Il futuro di Dio irrompe nel presente che stiamo vivendo per presentarci il mondo di comunione appartenente alla sola eternità.

Occorre partecipare alla messa Domenicale per una questione di identità: dal precetto si può evandere, ma non dalla propria identità.

Contro l'individualismo di oggi, la Chiesa propone, tramite l'azione dello Spirito Santo, la duplice traformazione del pane e vino in corpo e sangue di Cristo, e del corpo eucaristico in corpo ecclesiale. L'Eucaristia è viva se vissuta assieme alla propria comunità, la quale, con l'aiuto dello Spirito, diventa offerta gradita a Dio.

L'evangelista Giovanni non narra dell'ultima cena, ma dell'evento della lavanda dei piedi: anche quest'ultimo esempio del Gesù che si dona.

Riflessioni tratte dal discorso del Vescovo di Modena, mons. Lanfranchi, in occasione del Convegno Diocesano dei Ministri Straordinari della Comunione Eucaristica 2010.

lunedì 11 ottobre 2010

Don Filippo è nostro!

Dopo una lunga celebrazione di circa 2 ore Don Filippo Guaraldi è il nostro nuovo parroco di Cittanova. E' il terzo in un secolo. Il Vescovo ha riservato docili parole per il giovane sacerdote, ed ha incoraggiato la comunità a trattarlo come un "dono di Dio"
Ieri Filippo era visibilmente emozionato, ma aveva con se la famiglia, gli amici e gli ex parrocchiani di Vignola che lo hanno accompagnato fino alla vigilia di questa nuova esperienza.
Don Filippo non avrà un compito facile: a Cittanova ci sarà molto da lavorare sia a livello di strutture e che a livello di comunità. Dio ha operato a favore del nostro paese, che sembrava quasi dimenticato negli ultimi dieci anni: le nostre preghiere non sono state vane.
L'affetto che hanno dimostrato i parrocchiani di Vignola ci ha fatto capire di quanto Don Filippo sia stato prezioso ai loro occhi.

Lc 11,9-11. "9 Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe?"

sabato 25 settembre 2010

“Cos’è la vita?” - quattro chiacchere col nonno.

“Quando il Duce mi fece fare la guerra” così iniziano sempre i racconti di mio nonno Lazzaro. E’ il racconto della sua storia che, periodicamente, continua a ripetermi quando lo vado a trovare. Subito la Jugoslavia, poi la Libia, quindi la Tunisia per il ritorno in patria. Qui appena partito, il suo aereo venne colpito dagli Alleati. Miracolosamente si salvò, e dopo l’ultimo attacco ricevuto a Pisa, tornò a casa, nella campagna reggiana. Subito non pensava di cercare moglie per avere una famiglia. Erano tempi difficili, in cui la miseria era molto diffusa. Un giorno però in contro “la Maria”, la sua futura sposa, una donna “molto intelligente, ed eccezionale”. Si sposarono ed ebbero tre figli: Gigliola, Gianni e Gabriella. Quando Gabriella aveva solo 9 mesi, Maria, arrampicatasi su un albero per raccoglierne le foglie da dare agli animali, cadde e rimase paralizzata agli arti inferiori: aveva solo 37 anni. Qualche mese dopo, nacque Annarita, mia madre.
Con i suoi occhi azzurri, inumiditi dal ricordo, mio nonno mi guarda e mi chiede: “Cos’è la vita?”. Ha attraversato la miseria, la guerra, la fame, il lavoro duro nei campi e nella vigna, la disgrazia. Non sapevo che rispondere. Mi incalaza dicendo: “Meno male che c’è la fede, altrimenti tutto questo non avrebbe senso...”. “Come ha ragione”, pensai. E’ vero: senza fede, le esperienze che ci capitano nella nostra vita non avrebbero senso, se non viste nell’ottica di quel Cristo che è morto sulla croce per la salvezza di tutti. La vita può essere un calvario, ma la consapevolezza che Dio si è abbassato verso l’uomo, fino a soffire e morire come uno schiavo, ci da la forza di credere che questa vita non è l’ultima risposta alla domana di mio nonno. Ci sarà qualcosa di più, dopo. Saremo finalmente uniti, in pace e in comunione, con tutti i nostri cari e con Dio.
E qui penso a quanto l’escatologia cristiana sia una risposta credibile alle domande dell’uomo.
Le ideologie degli ultimi secoli hanno dato sempre e solo risposte limitate o insignificanti alle domande dell’uomo. Ha ragione Pascal quando dice che “Gli uomini, non potendo guarire la morte e sperando di essere più felici hanno deciso di non pensarci”. “
Ora mio nonno ha 93 anni e non ha paura di morire. Sa che quel giorno ritornerà dalla sua Maria per abbracciarla in eterno senza più soffrire.

domenica 5 settembre 2010

Don Filippo Guaraldi è il nuovo parroco di Cittanova

Con grande gioia e felicità, al ritorno dalle vacanze estive abbiamo ricevuto una bellissma e inaspettata notizia: dopo tanti anni Cittanova avrà il suo sacerdote. E' DonFilippo Guaraldi, che verrà ufficialmente insediato il giorno 10 Ottobre alle ore 17.00 durante una celebrazione eucaristica presieduta da S.E. Mons. Antonio Lanfranchi, alla quale seguirà un piccolo rifresco aperto a tutti. Occorre partecipare a questo momento per gioire insieme del grande dono che è stato fatto alla parrocchia!


Ecco il suo messaggio di presentazione:


Carissimi tutti,
mi chiamo Filippo Guaraldi e dal 10 ottobre sarò il vostro parroco; ora vi scrivo da Roccapelago mentre sto aspettando che i ragazzi del post cresima si sveglino...
Adesso dovrei scrivere qualcosa di me, ma prima voglio lasciarvi un’impressione che ho ancora fresca e che è questa: i ragazzi di Cittanova sono i migliori del mondo. E’ vero che li ho appena conosciuti, ma l’impressione che mi hanno fatto è stata davvero ottima; pertanto ringrazio il Signore per questo campeggio di fine estate che considero come il più bel dono che mi potevate fare.
In questa prima occasione che ho per presentarmi non vorrei tanto far un curriculum vitae (anche se so che è qualcosa di inevitabile), bensì vorrei far mia quella citazione di san Agostino che dice: con voi sono cristiano, per voi sono prete.
Detto questo vi dico che son nato il 1\6\70, son stato battezzato da don Giuseppe Dossetti il 30\9\70. Ho svolto le scuole statali e mi sono diplomato al liceo scientifico Wiligelmo, mi son laureato in Scienze Naturali e ho lavorato un anno come insegnante d’appoggio e un altro anno come analista chimico. Poi, subito dopo la Giornata Mondiale dei giovani del 1997, sono entrato in Seminario, anche se gran parte del mio iter da seminarista l’ho trascorso al Collegio Alberoni di Piacenza, dove ho potuto avere il nostro attuale vescovo come mio professore. In quel collegio ho incontrato dei seminaristi di tante parti del mondo e ho potuto conoscere il carisma di San Vincenzo, (l’attenzione ai poveri e la cura della formazione cristiana specialmente per i futuri sacerdoti). Sono stato ordinato prete da mons. Monari nell’Epifania del 2004. Ho avuto come primo incarico quello di cappellano a Fiorenzuola d’Arda, dove ho fatto anche l’assistente scout, il cappellano dell’ospedale e dove ho avuto la fortuna di entrare in contatto con la casa della carità, voluta dal vescovo Luciano, le case-famiglia fondate da don Oreste Benzi e l’associazione di volontariato San Vincenzo. Son poi approdato a Vignola nell’estate del 2008, e qui il mio orizzonte si è allargato, avendo avuto modo di conoscere meglio il mondo dell’Oratorio, quello degli scout e, in parte anche quello della scuola, avendovi insegnato un anno. Durante l’ora di religione nella scuola media “Muratori” ho letto dal primo capitolo all’ultimo il Vangelo.
Per chiudere questa mia presentazione voglio infine dirvi che, se dovessi scegliere un motto questo sarebbe “esser umile e aver molto rispetto per tutto e tutti”. Questo sentimento lo trovo molto presente nell’inno alla Carità di 1 Co.13, come pure in 1 Gv.3,16-24 e in Fil.2,2-4.

venerdì 13 agosto 2010

In ricordo di Don Giuseppe Papazzoni


Il 3 aprile 2010, all’età di 97 anni, si è spento il nostro Don Giuseppe Papazzoni.
Nato nel comune di San Felice sul Panaro nel 1913. Diventa sacerdote nel 1942, e fino al 1948 rimarrà cappellano a Fiorano, dove era parroco lo zio Luigi. Nel 1948 è nominato prevosto della parrocchia di Villa Freto, per poi diventare arciprete di Cittanova nel 1967.
Le sue doti di umiltà e bontà, umanità e rispetto, erano note a tutti, a parrocchiani e non.
Noi parrocchiani ci ricorderemo per sempre di lui, e non smetteremo mai di ringraziarlo per i suoi 43 anni al servizio della comunità.
Impossibile dimenticare la dedizione con la quale ha aiutato i giovani parrocchiani nel loro cammino di fede; i suoi consigli di padre e di educatore; la pazienza e la cura con cui ha amministrato il sacramento della confessione; la sua devozione alla Madonna.
Anche da quando il fisico iniziava a indebolirsi, celebrava la Santa Messa, conservando lucidità e forza.
Lavorava e faceva lavorare con tenacia e passione tutti, con questo suo dono di ascoltare, capire, seguire
le persone nelle vicende lieti e tristi dell’esistenza terrena, ricordandole nelle sue preghiere con premura e
attenzione.
La rifondazione della scuola materna è stata oggetto del suo impegno educativo con i piccoli e le famiglie.
Con lungimiranza ha voluto la Fondazione “Elena Giovanardi vedova Ghisellini” perché la parrocchia potesse avere in futuro mezzi di sostentamento per le attività educative.
Infine, negli anni più recenti, il restauro della chiesa di S. Pietro da lui fortemente desiderato e ottenuto.
Grazie Don Giuseppe.


« Eros » e « agape » – differenza e unità

tratto dall'enciclica - DEUS CARITAS EST


Un problema di linguaggio.
Il termine « amore » è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti. In tutta questa molteplicità di significati, però, l'amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all'essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono.


« Eros » e « agape » – differenza e unità.
All'amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s'impone all'essere umano, l'antica Grecia ha dato il nome di eros.
Quanto all'amore di amicizia (philia), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli.
La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell'amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell'amore. Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall'illuminismo, questa novità è stata valutata in modo assolutamente negativo. Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio.


Allora, la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Il cristianesimo ha davvero distrutto l'eros?


L'eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, « estasi » verso il Divino, ma caduta, degradazione dell'uomo. Così diventa evidente che l'eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell'eros, non è il suo « avvelenamento », ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.


L'essere umano è composto di corpo e di anima. L'uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità. 


Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. 


Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l'uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo in questo modo l'amore — l'eros — può maturare fino alla sua vera grandezza. Oggi il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L'eros degradato a puro « sesso » diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso diventa merce. 


Come deve essere vissuto l'amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? 


Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici. Secondo l'interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d'amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l'amore coniugale. 


In tale contesto emerge la parola « agape » che divenne l'espressione caratteristica per la concezione biblica dell'amore. In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l'esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l'amore diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca. 


L'amore mira all'eternità. Sì, amore è « estasi », ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio. 


Ci siamo imbattuti nelle due parole fondamentali: eros come termine per significare l'amore « mondano » e agape come espressione per l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato


In realtà eros e agape — amore ascendente e amore discendente — non si lasciano mai separare completamente l'uno dall'altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere. Anche se l'eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente — fascinazione per la grande promessa di felicità — nell'avvicinarsi poi all'altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell'altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà « esserci per » l'altro. Così il momento dell'agape si inserisce in esso; altrimenti l'eros decade e perde anche la sua stessa natura. D'altra parte, l'uomo non può neanche vivere esclusivamente nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l'uomo può — come ci dice il Signore — diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (cfr Gv 19, 34).


L'eros cerca Dio e l'agape trasmette il dono ricevuto.

mercoledì 19 maggio 2010

L'amore

L’amore è una relazione che può essere intesa come l'amore esistente tra genitori e figli, l'amore dell'amicizia genuina, della venerazione, della stima, della pietà, della misericordia, della soccorrevolezza, può essere l'amore sponsale, che si esprime nella corporeità in modo corrispondente all'unità corporeo-spirituale dell'uomo, alla diversità ed alla coordinazione dei sessi e che diventa corporalmente fecondo. Il corpo è mezzo dello spirito. La relazione sessuale umana è integrata in una comunione spirituale-personale di vita e di amore, che può fondarsi solo sul reciproco assenso all'auto-valore personale, sul rispetto, sulla fedeltà e la confidenza e che deve dar prova di sé in un stare-insieme pieno di premure. Però il compimento fondamentale è sempre ciò che si può esprimere con la parola «benevolenza». L'essenza dell'amore personale consiste nella benevolenza disinteressata che si dà in dedizione e si dona: essa rimane sé stessa in tutte le forme di autentico amore umano da persona a persona.

Emerich Coreth "Antropologia Filosofica" p.159

domenica 4 aprile 2010

Quanto mai attuale!

2 Tim 4,3-4. 
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole.

domenica 14 febbraio 2010

Prima domenica di Quaresima

Nella prima domenica di Quaresima, dalla prima lettura [Dt 26, 4-10] emerge il tema della conquista della terra promessa, tanto caro agli ebrei e centrale in Deuteronomio, perché segno efficace della promessa di Dio.
Il credente offre in dono le primizie della terra al Signore, per ringraziarlo del dono della terra stessa. Le primizie vengono consacrate, così come noi consacriamo i doni e le offerte sull’altare. Questa consacrazione ha uno stretto legame con l’evento culmine della storia della salvezza: la liberazione dall’Egitto. Questo brano non è solo un breve riassunto della storia della salvezza, ma soprattutto una vera e propria professione di fede (vv 5-9).
La liberazione dall’Egitto per mano di YHWH è l’esperienza salvifica fondamentale di Israele. E’ il cuore del credo israelita ed è un segno di identità del Dio degli ebrei (vv 7-9).
L’uscita dall’Egitto, e il passato di Israele, diventano segni di speranza.

I cristiani non guardano invece solo al passato, ma soprattutto guardano al futuro. La liberazione definitiva è nella Pasqua di Gesù, atto conclusivo della salvezza di Dio, che comunque non cancella e non si oppone al valore della prima Pasqua, che è la liberazione dall’Egitto. Nell’esodo, e nella prova del deserto, il popolo ebraico forma la sua coscienza di un Dio liberatore e salvatore.

Luca 4, 1-14.
Così anche Gesù da buon ebreo affronta il deserto (Lc 4, 1-14) prima di iniziare la sua attività pubblica in mezzo agli uomini. Tale prova ha due obiettivi:

1- Lo Spirito di Dio conduce Gesù nel campo del tentatore perché il figlio per servire il Padre deve essere pronto alla tentazione. Le nostre tentazioni mettono alla prova la volontà che abbiamo di seguire Dio. Gesù è condotto alla prova dallo Spirito, ma lo Spirito stesso lo guida nel deserto. Gesù supera le prove e sconfigge il tentatore come vero figlio di Dio.

2- Gesù permise di esser tentato per provare la limitatezza della natura umana, presente anche nei suoi discepoli, e per dare ad essi un esempio e un conforto nelle loro difficoltà. Gesù, prima di entrare fra gli uomini, sta lontano totalmente da essi per 40 giorni, quasi per fare ampia provvista di quella umanità di cui gli uomini erano privi e ch'egli avrebbe diffuso tra loro.

Luogo della prova è il deserto che simboleggia la volontà di abbandonarsi a Dio, che dona la vita e il nutrimento. Deserto e digiuno sono legati perché il deserto con la sua aridità rappresenta una terra privata del suo elemento vitale. Quindi sperimentare col proprio corpo la prova della fame, serve a sentire meglio la necessità di Dio e della sua parola. Gesù, in seguito, insegnerà ai suoi discepoli che certi demòni si vincono solo “con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21). La prova del digiuno nel deserto dura quaranta giorni, come Mosè quando rimase sul Sinai alla presenza di YHWH, e come Elia che camminò fino al monte Horeb.

Le parole che descrivono lo stato di Gesù, “pieno di Spirito Santo”, ci riportano alla scena del Battesimo di Gesù. Dopo il suo Battesimo, Gesù fu condotto su nel deserto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo. Di questo evento non vi sono testimoni ed è evidente che il fatto è soprannaturale. Avvertita la fame dopo i 40 giorni, si presenta a lui il tentatore, il diavolo.

Prima tentazione. Il tentatore sfida Gesù a compiere un miracolo superfluo per ottenere uno scopo raggiungibile con mezzi naturali. L’obiettivo fallito del tentatore era verificare se Gesù avesse coscienza d'esser figlio di Dio. Per Gesù, i bisogni materiali del popolo vengono soddisfatti dalla provvidenza di Dio, non dai miracoli. Satana offre il pane, ma Gesù risponde “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo” [Dt 8,3]

Seconda tentazione. Il diavolo si definisce padrone dei regni della terra. Egli introducendo nel mondo il peccato e la morte, ha reso l’uomo schiavo; il suo dominio sul mondo però viene soppresso da Gesù con la redenzione: nell’AT YHWH libera il suo popolo e lo salva; nel NT, Gesù ci redime e ci purifica, facendoci proprietà di Dio, pagando il prezzo del suo sangue, versato per noi sulla croce.
Nella sacra Scrittura era stato affermato molte volte che tutti i regni della terra appartenevano, non al diavolo, ma a YHWH [Is 37, 16; 11 Cr, 20, 6; ecc.] e insieme al suo Messia [Daniele, 2, 44; Salmo 72, 8-11; ecc.]. Qui il diavolo non chiede più a Gesù se è figlio di Dio, forse perché se ne era convinto. Satana offre a Gesù i regni della terra, ma Gesù risponde “Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai.” [Dt 6, 13].

Terza tentazione. Il diavolo prende Gesù e lo conduce sul tempio della santa città di Gerusalemme. Il diavolo invita Gesù ad una prova messianica: se egli è il figlio di Dio, lo dimostrerà davanti al popolo presente nel Tempio, gettandosi nel vuoto, attendendo il salvataggio degli angeli. Si noti che molti, tra il popolo, attendevano dal Messia questi segni. Anche il diavolo questa volta cita la Scrittura (Salmo 91). Ma, come osserva S. Girolamo, il diavolo si dimostra cattivo esegeta, perché il Salmo promette la protezione divina a chi si comporti da pio ed osservante, non a chi provoca Dio. L’ultima citazione di Gesù “È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo“ [Dt 6, 16] corregge la lettura del diavolo.

Gesù combatte con “spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Ef 6,17). Egli risponde al tentatore appellandosi alla Sacra Scrittura, di cui coglie il senso autentico, mentre il demonio la strumentalizza a suo favore.

Il ritorno al tempo opportuno. Luca chiude il racconto delle tentazioni, accennando ai fatti della passione di Gesù come a nuovi assalti del diavolo, che avverranno al “tempo opportuno”.Per Luca è la Passione il tempo opportuno, in cui Satana muoverà il più violento e ultimo assalto.
Le tentazioni attaccano il ruolo messianico di Gesù, al fine di ridurlo a un messianismo comodo ed agiato, di gloria politica e esibizionistico. Gesù supera queste tentazioni, e nella sua predicazione continuerà a contraddire i principii su cui esse si fondano.

Gesù sulla Croce ottiene ben più di ciò che il diavolo gli prometteva: il potere sulla morte. Satana è vinto dal Risorto. Questa vittoria ci coinvolge e siamo inviati ad annunciare a tutti la bella notizia del Vangelo.

Romani 10,8-13
Paolo descrive la novità della legge di Cristo rispetto alla legge di Mosè. Se “crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo“. “Chiunque crede in lui non sarà deluso. ... Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.” Senza distinzioni tra ebreo e gentili. All’adesione del cuore corrisponde un adesione esterna, la professione di fede, che ha luogo nel Battesimo.

“Resta con noi Signore nell’ora della prova”.

Il percorso catechistico quaresimale si basa sul brano della lettera agli Efesini (Ef 6, 10-20) che è ricca di simboli che richiamano alla vestizione di un combattente: la cintura, la corazza, i calzari, lo scudo, l’elmo e la spada.
Oggi poniamo la nostra attenzione sul simbolo della spada. Con essa dobbiamo attaccare le potenze del male che lavorano fuori e dentro di noi. Gli “gli spiriti del male” (Ef 6,12) e il Maligno (6,16) sono i nostri nemici. L’armatura di Dio consente di “resistere alle insidie del diavolo” (6,11).
La spada è l’unica arma di attacco citata. Infatti basta solo un’arma per attaccare il nemico: la spada dello Spirito che è la parola di Dio!
L’uso metaforico delle armi non ci deve spaventare. Sono le scritture stesse che definiscono la parola del Messia, piena di Spirito, come una spada o un arma contro il male: Gesù, il Verbo di Dio è come un guerriero [Is 11,2 - Is 49,1 - Ap 1, 16 - Ap 19,15]. La Parola viene impugnata da Gesù per vincere la sfida del diavolo che lo tenta nel deserto.
La nostra spada è la parola di Dio, vivificata dallo Spirito. Essa ha il potere di smascherare il nemico dentro di noi perché “la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” [Eb 4,12].

Bibliografia
- Pentateuco - Arletti
- LECTIO DIVINA “Indossate l’armatura di Dio” (Ef 6,12) - Bosetti
- Vita di Gesù Cristo – Ricciotti [271-276]
- Dizionario di teologia biblica – Marietti
- L’evangelo secondo Luca – Schmid
- La Bibbia di Gerusalemme - EDB