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giovedì 10 dicembre 2015

La misericordia di Cristo

"Un Gesù che sia d'accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Scrittura, ma una sua miserabile caricatura.
Una concezione del 'vangelo' dove non esista più la serietà dell'ira di Dio, non ha niente a che fare con la vangelo biblico. 
Un vero perdono è qualcosa del tutto diverso da un debole 'lasciar correre'.
Il perdono è esigente e chiede ad entrambi – a chi lo riceve ed a chi lo dona – una presa di posizione che concerne l'intero loro essere. Un Gesù che approva tutto è un Gesù senza la croce, perché allora non c'è bisogno del dolore della croce per guarire l'uomo.
Ed effettivamente la croce viene sempre più estromessa dalla teologia e falsamente interpretata come una brutta avventura o come un affare puramente politico.
La croce come espiazione, la come come "forma" del perdono e della salvezza non si adatta ad un certo schema del pensiero moderno.
Solo quando si vede bene il nesso fra verità ed amore, la croce diviene comprensibile nella sua vera profondità teologica. Il perdono ha a che fare con la verità e perciò esige la croce del Figlio ed esige la nostra conversione. Perdono è appunto restaurazione della verità, rinnovamento dell'essere e superamento della menzogna nascosta in ogni peccato.
Il peccato è sempre, per sua essenza, un abbandono della verità del proprio essere e quindi della verità voluta dal Creatore, da Dio".

Da Joseph Ratzinger, "Guardare a Cristo", pag. 76, Jaca Book 1986

giovedì 12 novembre 2015

Il nuovo umanesimo in Cristo Gesù - Francesco

Cari fratelli e sorelle, nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c'è Gesù, nostra luce. L'iscrizione che si legge all'apice dell'affresco è "Ecce Homo". Guardando questa cupola siamo attratti verso l'alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui ha «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6). «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17).

Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell'uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l'immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).

Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. Dio – che è «l'essere di cui non si può pensare il maggiore», come diceva sant'Anselmo, o il Deus semper maior di sant'Ignazio di Loyola – diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell'umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto.

Non voglio qui disegnare in astratto un «nuovo umanesimo», una certa idea dell'uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell'umanesimo cristiano che è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell'animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni.

Quali sono questi sentimenti? Vorrei oggi presentarvene almeno tre.

Il primo sentimento è l'umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filippesi. Più avanti l'Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «privilegio» l'essere come Dio (Fil 2,6). Qui c'è un messaggio preciso. L'ossessione di preservare la propria gloria, la propria "dignità", la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio che sfolgora nell'umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo ci sorprende sempre.

Un altro sentimento di Gesù che dà forma all'umanesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,4), chiede ancora san Paolo. Dunque, più che il disinteresse, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L'umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di «rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).

Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda.

Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine. Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c'è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile.

Le beatitudini che leggiamo nel Vangelo iniziano con una benedizione e terminano con una promessa di consolazione. Ci introducono lungo un sentiero di grandezza possibile, quello dello spirito, e quando lo spirito è pronto tutto il resto viene da sé. Certo, se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze perché non ci portano al "successo". Per essere «beati», per gustare la consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, è necessario avere il cuore aperto. La beatitudine è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una pace incomparabile: «Gustate e vedete com'è buono il Signore» (Sal 34,9)!

Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull'umanesimo cristiano che nasce dall'umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal "potere", anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all'immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all'altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.

Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l'azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L'ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).

Però sappiamo che le tentazioni esistono; le tentazioni da affrontare sono tante. Ve ne presento almeno due. Non spaventatevi, questo non sarà un elenco di tentazioni! Come quelle quindici che ho detto alla Curia!

La prima di esse è quella pelagiana. Essa spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l'apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.

La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell'ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività.

La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati della navigazione in mare aperto e non spaventati dalle frontiere e delle tempeste. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. Mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma il proposito di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor9,22).

Una seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo. Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Il fascino dello gnosticismo è quello di «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell'immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium, 94). Lo gnosticismo non può trascendere.

La differenza fra la trascendenza cristiana e qualunque forma di spiritualismo gnostico sta nel mistero dell'incarnazione. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.

La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d'Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte.


Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa?

Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l'Ecce Homo che abbiamo sulle nostre teste. Fermiamoci a contemplare la scena. Torniamo al Gesù che qui è rappresentato come Giudice universale. Che cosa accadrà quando «il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (Mt 25,31)? Che cosa ci dice Gesù?

Possiamo immaginare questo Gesù che sta sopra le nostre teste dire a ciascuno di noi e alla Chiesa italiana alcune parole. Potrebbe dire: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,34-36). Mi viene in mente il prete che ha accolto questo giovanissimo prete che ha dato testimonianza.

Ma potrebbe anche dire: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato» (Mt 25,41-43).

Le beatitudini e le parole che abbiamo appena lette sul giudizio universale ci aiutano a vivere la vita cristiana a livello di santità. Sono poche parole, semplici, ma pratiche. Due pilastri: le beatitudini e le parole del giudizio finale. Che il Signore ci dia la grazia di capire questo suo messaggio! E guardiamo ancora una volta ai tratti del volto di Gesù e ai suoi gesti. Vediamo Gesù che mangia e beve con i peccatori (Mc 2,16; Mt 11,19); contempliamolo mentre conversa con la samaritana (Gv 4,7-26); spiamolo mentre incontra di notte Nicodemo (Gv 3,1-21); gustiamo con affetto la scena di Lui che si fa ungere i piedi da una prostituta (cfr Lc 7,36-50); sentiamo la sua saliva sulla punta della nostra lingua che così si scioglie (Mc 7,33). Ammiriamo la «simpatia di tutto il popolo» che circonda i suoi discepoli, cioè noi, e sperimentiamo la loro «letizia e semplicità di cuore» (At 2,46-47).

Ai vescovi chiedo di essere pastori. Niente di più: pastori. Sia questa la vostra gioia: "Sono pastore". Sarà la gente, il vostro gregge, a sostenervi. Di recente ho letto di un vescovo che raccontava che era in metrò all'ora di punta e c'era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente.

Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo. Come pastori siate non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi. Puntate all'essenziale, al kerygma. Non c'è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Ma sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, intendo. Ho espresso questa mia preoccupazione pastorale nella esortazione apostolica Evangelii gaudium (cfr nn. 111-134).

A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione: l'inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l'amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune.

L'opzione per i poveri è «forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). Questa opzione «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» (Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi). I poveri conoscono bene i sentimenti di Cristo Gesù perché per esperienza conoscono il Cristo sofferente. «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, 198).

Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d'immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza.

Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso alloSpedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l'altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l'altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre è una delle vostre virtù, perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti.

Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria "fetta" della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l'incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227).

Ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l'amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell'incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. Noi sappiamo che la migliore risposta alla conflittualità dell'essere umano del celebre homo homini lupus di Thomas Hobbes è l'«Ecce homo» di Gesù che non recrimina, ma accoglie e, pagando di persona, salva.

La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia.

Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà.

E senza paura di compiere l'esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell'altro, né capire fino in fondo che il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze. E' fratello.

Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all'interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini. 


[...]


Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L'umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l'allegria e l'umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura.


[...]




Quando verrà il regno di Dio?

Lc 17,20-25.

In quel tempo, interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», Gesù rispose: 
«Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!». 
Disse ancora ai discepoli: «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. 
Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. 
Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione». 

martedì 10 novembre 2015

Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote!

http://www.vatican.va/news_services/liturgy/2005/via_crucis/it/station_09.html

MEDITAZIONE

Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell'uomo in generale, all'allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c'è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell'animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25).

PREGHIERA

Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all'interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.

lunedì 2 novembre 2015

Il riflessione di Messori su #gender e #ideologie - Vivaio Luglio 2015

La  teoria detta  del gender [...] non è che una delle più recenti ideologie , una delle tante che si sono susseguite in Occidente  dal Settecento e che sono sparite dopo essere state scambiate per autentiche rivelazioni. 

Mi tornava in mente, proprio in questi giorni , l'ultimo Sartre: << Dopo il marxismo, nulla>>, nel senso che lo schema del vecchio Karl era secondo lui il segreto definitivo del mondo e della storia. Abbiamo visto come è andata a finire. Le ideologie hanno sempre lasciato dietro di sé dei danni, degli inquinamenti, in ogni caso alla fine sono state tutte  archiviate a forza, perché lo schema creato da intellettuali teorici non ha retto alla prova della realtà. La quale è sempre più complessa e più tenace di quanto non sappiano e non prevedano  gli ideologi.

Dunque, dopo una vita passata a riflettere sulla storia  invito alla calma o, almeno, alla pazienza quei pur eccellenti credenti, quei fratelli nella  fede che prendono sul tragico ciò che via via si succede nel mondo. Mi permetto di esortarli  a considerare quella che la celebre scuola di storici francesi chiama la longue durée, la lunga durata. In una simile prospettiva, tutto si relativizza e sempre più appare giustificato il famoso  e bel motto dei Certosini: Stat Crux dum volvitur orbis, la croce sta salda mentre il mondo gira.

Torniamo allo schema oggi di turno, al grottesco gender, alla sua teoria risibile secondo la quale il diverso comportamento di maschi e di femmine non sarebbe  "naturale " bensì determinato da ruoli imposti nella storia . La teoria è che non esisterebbero uomini e donne, etero e omosessuali, ma ciascuno sarebbe libero di rompere le catene (imposte soprattutto dalle religioni, il cristianesimo in primis) e seguire il suo naturale  orientamento sessuale, quale che sia. Tutti eguali, differenziati con la forza  solo da un complotto che risale addirittura alla preistoria,  che non è mai cessato e che solo ora è stato smascherato.

[...]

La terrazza dove, assieme ai  giornali, mi consegnano il cappuccino e  la brioche è un po' sopraelevata rispetto alla strada e  dunque ogni tanto sollevo gli occhi  per osservare il flusso del traffico. Da qui, sembra passare il mondo: italiani di ogni regione (chi va a Venezia spesso dà almeno un'occhiata al Garda) , austriaci, tedeschi, olandesi , francesi,   danesi e altri scandinavi come svedesi e norvegesi . [...] Ebbene , da una mia valutazione basata sulla osservazione diretta, lo schema è costante per oltre il 90 per cento dei casi : al volante lui, nel sedile accanto lei; e dietro, se ci sono, i figli. Questo per le automobili ma  per le moto (numerosissime) si arriva  al 100 per cento : lui chino sul  manubrio e dietro lei, avvinghiata al "suo" uomo. Ci sono stato attento ma non mi è mai successo di vedere una donna alla guida di una moto o scooter che sia, con l'uomo come passeggero. Siamo di nuovo al 100 per cento per quanto riguarda i camper, queste case su ruote. Parallela alla trafficata strada, c'è la pista ciclabile . Qui pure, una costante : nella quasi totalità dei casi, ecco l'uomo che pedala davanti e la moglie, o compagna che sia ,  che lo segue. E' l'uomo che apre la strada e sceglie il percorso, sembra dire chiaramente questa costante posizione dei ciclisti.
Le  donne che transitano da qui sono di ogni Paese e di ogni cultura, molte vengono da un Nord Europa che -vista la scomparsa del protestantesimo storico, divenuto corifeo acritico di ogni moda via via egemone-  non possono essere sospettate di  schiavitù  a schemi oscurantisti e clericali. Tutte, poi, sono sicuramente munite di patente e potrebbero benissimo mettersi al volante. Non lo fanno perché preferiscono lasciare all'uomo una fatica? Ma quale fatica , per molte femmine, soprattutto in vacanza, condurre  un' auto è un piacere,  non certo un peso! Eppure tutte -spontaneamente, senza alcuna costrizione , forse  senza consapevolezza del significato del gesto- tutte  sono contente di lasciare a lui  la guida. Guida dell'auto o della moto , ma metafore significative della guida anche nella vita. A ciascun sesso è data una funzione, una vocazione, una eguaglianza radicale e al contempo una radicale diversità. E' parte essenziale di un Progetto che non potrà mai essere scardinato da qualche chiacchierone.

Dite che sono banali le conseguenze che traggo dall'osservazione della strada più  turistica del Garda, da questo meeting point di europei ed europee? Mah ! Almeno per me, banali non sono. Mi sembra, in ogni caso, seppur minore e pragmatica, una delle infinite conferme di quanto siano lontane dalla realtà  le astrattezze disumane  del gender. Ancora una volta, un po' di pazienza e poi ne rideremo, anche se piomberemo certamente sotto il segno di un'altra utopia. Abbandonata la via del Vangelo, il mondo non sa, non può farne a meno. E questa non è apologetica.

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A proposito di libri censurati: ve ne è uno che lo è sin da quando fu pubblicato, nella seconda metà dell'Ottocento. Parlo de L'origine delle specie attraverso la selezione naturale di Charles Robert Darwin. E' ben noto che, probabilmente al di là delle intenzioni dell'autore, quello studio è stata la base per costruire e sorreggere il cosiddetto "ateismo scientifico". Ma spesso si ignora che lo scienziato è sepolto nella cattedrale di Westminster, che a Cambridge si laureò in teologia, che la sua prospettiva non escludeva un Creatore ma ipotizzava che quel Dio  avesse fissato le leggi fondamentali dell'universo, lasciando poi che , all'interno di quella struttura, agissero il caso e la necessità. E' certo, comunque , che un "evoluzionismo " bene inteso non è affatto incompatibile con la fede in Dio. Pare che così la pensasse Darwin stesso,  ma ciò non impedì a molti  lettori delle sue opere di prenderle a pretesto per le  loro tesi di incredulità. Come  ha detto qualcuno: << Sventurato colui che ha dei discepoli! >>, visto che questi tendono sempre ad estremizzare le teorie dei loro idoli.


martedì 27 ottobre 2015

Contraddizioni culturali secondo il Sinodo:

8. Le condizioni culturali che agiscono sulla famiglia mostrano in grandi aree del mondo un quadro contrastante, anche sotto l'influenza massiccia dei media. Da un lato, il matrimonio e la famiglia godono di grande stima ed è tuttora dominante l'idea che la famiglia rappresenti il porto sicuro dei sentimenti più profondi e più gratificanti. Dall'altro lato, tale immagine ha talvolta i tratti di aspettative eccessive e di conseguenza di pretese reciproche esagerate. Le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all'interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività. Si può menzionare anche una certa visione del femminismo, che denuncia la maternità come un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione. Si registra poi la crescente tendenza a concepire la generazione di un figlio come mero strumento per l'affermazione di sé, da ottenere con qualsiasi mezzo.

Una sfida culturale odierna di grande rilievo emerge da quell'ideologia del "gender" che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un'identità personale e un'intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. 

L'identità umana viene consegnata ad un'opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. Nella visione della fede, la differenza sessuale umana porta in sé l'immagine e la somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26-27). «Questo ci dice che non solo l'uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l'uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. […] Possiamo dire che senza l'arricchimento reciproco in questa relazione – nel pensiero e nell'azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede – i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna. La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l'arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. […] La rimozione della differenza […] è il problema, non la soluzione» (Francesco, Udienza generale, 15 aprile 2015).

domenica 25 ottobre 2015

La vita è misericordia

Messaggio per la Giornata della vita 2016

[...]

Chiunque si pone al servizio della persona umana realizza il sogno di Dio. Contagiare di misericordia significa aiutare la nostra società a guarire da tutti gli attentati alla vita. L'elenco è impressionante: "È attentato alla vita la piaga dell'aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l'eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell'altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente" . Contagiare di misericordia significa affermare – con papa Francesco – che è la misericordia il nuovo nome della pace. La misericordia farà fiorire la vita: quella dei migranti respinti sui barconi o ai confini dell'Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni senza scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere. Contagiare di misericordia significa osare un cambiamento interiore, che si manifesta contro corrente attraverso opere di misericordia. Opere di chi esce da se stesso, annuncial'esistenza ricca in umanità, abita fiducioso i legami sociali, educa alla vita buona del Vangelo e trasfigura il mondo con il sogno di Dio.

Roma, 22 ottobre 2015 
Memoria di San Giovanni Paolo II

IL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Avere una fede chiara...

..., secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo
 
"Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l'essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere 'sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…' (Ef 4, 14). 

Una descrizione molto attuale! Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore (cf Ef 4, 14). 

Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie".

BENEDETTO XVI

venerdì 16 ottobre 2015

Una fede personale e la sana dottrina

La persona di Gesù 'è' la sua dottrina, e la sua dottrina 'è' lui stesso. 
Pertanto, la fede cristiana, ossia la credenza in Gesù visto come Cristo, è davvero una 'fede personale'… 
Una fede così impostata non è l'accettazione d'un sistema, bensì l'accoglimento di questa persona che è il suo Verbo; è la ricezione del Verbo in quanto persona, e della persona in quanto Verbo.

JOSEPH RATZINGER

Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero.

SAN PAOLO APOSTOLO, 2 Tm 4,1-5


giovedì 15 ottobre 2015

Il Papa non è un sovrano assoluto

Benedetto XVI alla messa d'insediamento sulla Cathedra Romana, il 7 maggio 2005:

"Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell'obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all'obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. (…) Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode".

Il Venerabile Pio Brunone Lanteri, che pure era un grande difensore del papato, lo spiegava chiaramente in un suo libro: "Mi si dirà che il S. Padre può tutto, 'quodcumque solveris, quodcumque ligaveris etc.' è vero, ma non può niente contro la divina costituzione della Chiesa; è vicario di Dio, ma non è Dio, né può distruggere l'opera di Dio".

martedì 6 ottobre 2015

RADICI CRISTIANE

Diceva Immanuel Kant: "Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra cultura". E il laicissimo Federico Chabod: "il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c'è fra noi e gli Antichi (…) è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti 'liberi pensatori', anche gli 'anticlericali' non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo".

Infine il papa laico Benedetto Croce, nel saggio del 1942 "Perché non possiamo non dirci cristiani", spiegò: "Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta (…). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate (…). E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni (…) non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana (…) perché l'impulso originario fu e perdura il suo".

Si pensi inoltre alla resistenza della Chiesa – pagata con milioni di martiri – ai totalitarismi del XX secolo. E' sempre stata l'unica luce nella notte degli orrori e il grande antidoto alle ideologie.

Certi laicisti alla Scalfari oggi potranno gioire per la sua liquidazione. Ma potrebbero amaramente pentirsene di fronte alle devastazioni del nichilismo e – come ha dimostrato in Francia la tragedia di "Charlie Hebdo" – davanti all'Islam rampante nel mondo.

Un intellettuale liberale francese, Pierre Manent ha pubblicato un libro, "Situation de la France", dove fotografa la disperata inermità dell'Europa laicista di fronte all'Islam.

Manent dice: "non basta la laicità per contrastare l'Islam. E diversamente da quanto sostengono i politici radicali, la laicità nemmeno serve a integrare i musulmani".

La tragedia è stata la demolizione della Chiesa. "Era l'idea dell'ateismo progressista", dice Manent. Dopo il Concilio "i cattolici hanno accettato di fondersi in questa sorta di nuova chiesa postcristiana… E il cristianesimo si è dissolto in una religione dell'umanità".

martedì 21 luglio 2015

La moltiplicazione dei pani (Gv 6)

frasi chiave

 

(2 Re 4, 42-44) Il profeta Eliseo, successore di Elia salito al cielo, dice all'uomo che porta i pani per l'offerta: Poichè dice il Signore "Ne mangeranno e ne faranno avanzare"

(Sal 114) Il salmista recita: "Tu apri la tua mani e sazi il desiderio di ogni vivente."

(Gv 6,1-15) Gesù dice ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perchè nulla vada perduto"

 

il significato del pane / eucaristia

 

Quante volte abbiamo ascoltato il miracolo della moltiplicazione dei pani. Ma perchè Gesù lo compie?

Con questa azione Gesù termina l'attività in Galilea e inizia la via verso la croce. E' quindi un evento importante, è un avvenimento messianico, è anticipazione dell'ultima cena che avverrà in modo più intimo..

 

Gesù da dei segnali agli apostoli e alla gente: infatti dopo il miracolo, la gente lo acclama per farlo re, gridando "Questi è davvero il profeta!", ma Gesù fugge. Non sarà un trionfo politico, ma sarà il trionfo della croce.

 

La folla lo segue perchè ha sentito parlare di lui: egli guarisce gli infermi. La folla ha quindi un interesse.

 

Così Gesù mette alla prova Filippo chiedendogli di comprare il pane per 5000 uomini. Ma Filippo non coglie e razionalmente risponde che non ci sono abbastanza soldi. Tuttavia Andrea porta un ragazzo con 5 pani d'orzo e due pesci. In questo modo Gesù inizia il rito che assomiglia in tutto e per tutto all'eucaristia che oggi celebriamo: prese i pani / rese grazie / li distribuirono / e tutti furono sazi.

"Raccogliete i pezzi avanzati, perchè nulla vada perduto" di questo pane speciale nulla deve andare perduto.

 

Ma cos'è quindi questo pane?

 

Lo spiega Gesù stesso nel capitolo 6 di Giovanni:

 

Gesù dirà: IO SONO IL PANE VIVO

SE UNO MANGIA DI QUESTO PANE VIVRA' IN ETERNO

IL PANE CHE IO DARO' E' LA MIA CARNE PER LA VITA DEL MONDO

LA MIA CARNE E' VERO CIBO

 

Nella predicazione di Gesù il pane c'è sempre: nelle tentazioni, nel padre nostro, come metafora del dono del suo corpo

 

La folla è sazia perchè ha la pancia piena, perchè attende una salvezza naturale.

Ma il solo pane è nutrimento terreno, l'uomo ha fame di qualcosa di più.

 

Gesù darà: IO SONO IL PANE DELLA VITA.

Questo pane non lo si può guadagnare con il lavoro umano, ma viene da Dio.

Dio diventa pane per noi

Gesù è pane incarnato, la sua carne è vita per il mondo.

>> Questa è l'eucaristia: centro della vita cristiana

Tuttavia, il pane per essere mangiato deve essere spezzato:

>> ed ecco la passione, dalla quale sgorga il dono dello spirito di vita.

 

confronto Gesù-Mosè

 

Gesù che dona il pane, è un chiaro riferimento alla manna donata da Mosè nel deserto. Mosè dona il pane, come promessa di eliminare ogni necessità. Ma questo pane è simbolo della parola di Dio, la Legge.. L'ebreo si nutre di questa parola che indica la via e conduce alla vita.

La tradizione ebraica, infatti, voleva che il Messia rinnovasse i miracoli di Mosè. Il futuro salvatore doveva essere un profeta, annunciato da Mosè stesso nel suo discorso alle porte della terra santa.

 

Gesù è l'ultimo e definitivo Mosè, è il profeta per eccellenza. Come lui "sale" sul monte e dono nutrimento. In realtà in prossimità del mare di galilea non ci sono delle montagne ma delle collinette.

La gente lo riconosce, come nuovo Mosè e lo vuole portare in trionfo.

Gesù ci nutre col suo miracolo, il pane che troviamo nell'eucaristia e nella sua parola.

 

uno dei pericoli per la chiesa: la divisione.

 

Paolo dalla prigione scrive ai cristiani di Efeso, facendo un appello al'unità.

Uno dei rischi che le comunità cristiane corrono ancora oggi è appunto la divisione, la discordia.

Paolo ci dà questi consigli che valgono sia per le comunità che per le famiglia:

comportatevi in modo degno, con umiltà, con dolcezza e magnanimità;

sopportatevi a vicenda;

siate uniti nello Spirito.

Quando si parla Dio, non ci sono ambiguità o verità relative.

C'è UNA verità: un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre.

E per evitare protagonismi e discriminazioni dice: Dio è di tutti e al di sopra di tutti, opera per mezzo di noi ed è presente in tutti.

venerdì 3 luglio 2015

La critica del mondo al vero cristiano

​​"Un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l'approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede".

Joseph Ratzinger (alla morte di Paolo VI)

"Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni, ed era pronto anche a subire colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di primo ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti".

Joseph Ratzinger su Giovanni Paolo II

"Nostro Signore disse che alla fine dei tempi quando Satana sarà assiso sul suo trono (Ap 2,13), apparirà tanto simile a Lui sì da ingannare, se fosse possibile anche gli eletti (Mt 24,24). Ma se Satana opera prodigi, se pone delicatamente le mani sul capo dei bimbi, se appare benigno e benevolo con il povero, come faremo a distinguerlo dal Cristo? Ebbene Satana non porterà le stigmate sulle mani o sui piedi o sul costato. Egli apparirà come sacerdote, ma non come vittima"

Arcivescovo Fulton Sheen

giovedì 1 gennaio 2015

Te Deum


Noi ti lodiamo, Dio,
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre,
tutta la terra ti adora.

A te cantano gli angeli
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo
il Signore Dio dell'universo.

I cieli e la terra
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli
e la candida schiera dei martiri;

le voci dei profeti si uniscono nella lode;
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico Figlio
e lo Spirito Santo Paraclito.

O Cristo, re della gloria,
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre
per la salvezza dell'uomo.

Vincitore della morte,
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre.
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.

Soccorri i tuoi figli, Signore,
che hai redento col tuo Sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria
nell'assemblea dei santi.

Salva il tuo popolo, Signore,
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo,
lodiamo il tuo nome per sempre.

Degnati oggi, Signore,
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia:
in te abbiamo sperato.

Pietà di noi, Signore,
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno.