Belli e Ribelli – Adolescenti inafferrabili
Sono passati dieci anni dal primo incontro intitolato Belli e Ribelli, e nel frattempo due esperienze hanno cambiato profondamente il mio modo di guardare agli adolescenti. La prima è stata l'insegnamento, alle scuole medie e superiori; la seconda, la nascita del libro Adolescenti inafferrabili, scritto con don Andrea Lonardo. È un libretto piccolo, ma nato da anni di fatica e da centinaia di incontri con ragazzi veri, in situazioni reali.
Parlare di qualcosa che si è scritto è sempre un po' imbarazzante, ma di questo libro sono orgoglioso, perché non nasce da teorie o da tavolino: nasce dall'ascolto, dal confronto, da parole scambiate con chi sta vivendo l'età più inquieta e più intensa della vita.
Ricordo quei momenti in cui, alla fine di un incontro, un ragazzo – magari proprio quello che non ti aspettavi – ti si avvicina, ti mette una mano sulla spalla e ti dice semplicemente "grazie". Piccoli gesti che valgono più di mille riconoscimenti.
Verità, dolore e speranza
In questo incontro, più che dieci anni fa, sento il bisogno di essere vero. E quando si dice qualcosa di vero, si rischia di far soffrire. Ma il mio intento non è ferire: è consolare, aprire alla speranza.
Queste parole non sono rivolte solo ai ragazzi, ma soprattutto ai genitori, agli insegnanti, agli educatori. Gli adolescenti di oggi vivono immersi in un mondo dove si parla solo di due estremi: o di un bene idealizzato e irraggiungibile, oppure del male nella sua forma più mostruosa. In mezzo, quasi mai, si parla della lotta — quella continua battaglia tra il desiderio del bene e la spinta verso il male che abita ogni cuore umano.
Il dramma non è sapere, ma trovare la forza
Gli adolescenti sanno benissimo cosa sia l'amicizia vera. Se chiedi loro di descrivere un buon amico, in pochi minuti ti elencano sincerità, lealtà, fedeltà. Il problema non è sapere come dovrebbe essere un amico: è trovare la forza per esserlo.
Sappiamo che mentire è sbagliato, eppure mentiamo. Sappiamo che la pigrizia logora, ma non riusciamo sempre a vincerla. Sappiamo che dovremmo perdonare, ma spesso non ci riusciamo. La domanda vera è: da dove viene la forza per fare il bene?
Non c'è età per questo conflitto: che si abbiano otto, quaranta o ottant'anni, il cuore dell'uomo resta lo stesso. Quando tradi una promessa o inganni qualcuno, ferisci e ti ferisci, a qualunque età.
Lealtà: la prima qualità dell'adulto
Per capire i ragazzi non servono tecniche educative, ma lealtà. Solo un adulto che si mette in discussione può davvero entrare in relazione con loro.
Un catechista o un genitore che si limita a spiegare "le caratteristiche della vera amicizia" non coglie la domanda più autentica dei giovani: ma tu, che mi parli, ce l'hai un vero amico?
I ragazzi respirano da piccoli i nostri giudizi, le nostre contraddizioni, le nostre incoerenze. Eppure, la nostra capacità di vivere relazioni vere — fondate su sincerità, protezione e perdono — è la prima scuola di educazione.
L'amore, secondo Vasco Rossi
C'è un passaggio di un'intervista a Vasco Rossi che sorprende per la sua verità. Diceva:
"L'amore eterno non esiste. Esiste l'amore iniziale, l'attrazione. Poi le cose cambiano. Ma se ami il progetto della famiglia che hai costruito, e pensi al figlio che hai fatto nascere, è giusto dargli almeno vent'anni di serenità con un papà e una mamma. A quel punto devi mettere da parte un po' del tuo ego."
Parole di Vasco, non del Papa. Ma dietro c'è una verità potente: ogni figlio ha diritto a vent'anni di serenità. E quando questo non avviene, quando una separazione spezza quella continuità, il dolore è profondo, anche se non sempre visibile.
È vero: ci sono situazioni in cui la separazione è un sollievo. Ma se è un sollievo, significa che prima c'è stato un dolore enorme. Essere leali, anche qui, significa riconoscere questa sofferenza senza condannare nessuno, ma senza far finta che non esista.
La "pesca" dell'Esselunga
Ricordate la pubblicità dell'Esselunga, quella della bambina che regala al papà una pesca "mandata dalla mamma"? Quello spot ha scatenato polemiche, eppure ha toccato un nervo scoperto. Non perché giudicasse qualcuno, ma perché ricordava una verità elementare: nessun bambino è felice quando i genitori si separano.
Come ha scritto lo psicoterapeuta Alberto Pellai, quel gesto — la pesca che passa di mano — è un'onda che travolge gli adulti, perché mostra il bisogno profondo di unità e di pace dei figli. I bambini sanno che certi dolori non si possono evitare, ma possono essere attraversati e superati, se gli adulti restano alleati, anche da separati.
L'eroismo silenzioso degli adolescenti
Oggi, studiare è un atto eroico. I ragazzi vivono sommersi da distrazioni programmate per catturare la loro attenzione: videogiochi, piattaforme, social, chat infinite.
Un tempo c'era Bim Bum Bam, adesso c'è un universo digitale che non si spegne mai.
Ecco perché chi riesce a concentrarsi, a impegnarsi, a resistere è un piccolo eroe. Essere leali con loro significa riconoscere che affrontano sfide che noi adulti non abbiamo mai dovuto gestire.
Il problema non è "dei giovani". È di tutti. La dipendenza da smartphone, la distrazione continua, la perdita di attenzione sono problemi sociali, culturali, economici. Sono stati costruiti così, scientemente, da chi quegli strumenti li ha progettati per tenerci incollati agli schermi.
Un'infanzia rubata al gioco
La generazione Z è la prima a essere passata da un'infanzia basata sul gioco a un'infanzia basata sul telefono. Il gioco è ciò che, da sempre, costruisce la socialità, la fiducia, la forza. Un tempo uscivamo di casa e imparavamo a gestire la paura, la rabbia, la rivalità.
Oggi molti bambini crescono senza quello spazio di autonomia, e non è colpa loro: è una responsabilità collettiva.
Passione, non lamentele
Spesso si dice che i ragazzi siano apatici, senza interessi. Ma è una grande menzogna. Sono immersi in un mondo che impone di studiare, di adattarsi, di rispondere a mille aspettative. Non dicono "no" alla fede o alla cultura: dicono "no" alla mancanza di passione, alla mediocrità delle nostre proposte.
Gli adolescenti stimano profondamente un insegnante appassionato, uno che crede in ciò che insegna. Non sopportano chi insegna senza vita, chi spiega Van Gogh senza parlare delle sue lettere, chi parla di Dio senza emozione.
Un educatore senza passioni culturali non può educare. Non serve essere eruditi, ma curiosi, vivi, desiderosi di conoscere e di trasmettere. Solo così si accende la scintilla.
Conclusione: la lealtà che salva
Essere leali con i ragazzi significa guardarsi dentro come adulti, riconoscere le proprie fragilità e camminare insieme a loro nella stessa direzione: quella della verità.
Non servono tecniche né moralismi, ma occhi sinceri, capaci di dire: anch'io combatto, anch'io fatico, anch'io cerco la forza per fare il bene.
Solo così gli adolescenti, belli e ribelli, possono sentirsi finalmente compresi.