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domenica 11 maggio 2025

​Cori da “La Rocca” | Cap. 1-5

La poesia di Eliot in Cori da La Rocca è un testo sapienziale e profetico, un appello a rendere perfetta la propria volontà. La volontà, forza etica e intellettuale di secondo grado, è chiamata a divenire ciò che naturalmente desidera: essere ciò che si è davvero. In questo movimento si manifesta un atto attivo e consapevole, che rivela la propria destinazione, investendo tanto la sfera della Caritas quanto quella della Charis, la Grazia.

Non si è davvero se stessi se non si vuole essere ciò che si è. La perfezione della volontà diventa allora cammino della Grazia. Senza significato non esiste neppure il tempo: la storia ci parla, paradossalmente, proprio attraverso la sua apparente mancanza di senso o di mezzi. È grazie a questa enigmaticità del suo inizio che possiamo intravedere la possibilità di una pienezza.

L'uomo è chiamato a essere un incessante ricostruttore di rovine. Eliot procede in una sorta di "progressione regressiva", animato dalla disperazione della speranza: quella tensione che muove l'anima a fare ciò che si deve, o si dovrebbe, per restituire al passato una funzione attiva nel presente, in una sorta di feedback spirituale. In questo processo, la buona volontà è la custode del senso.

Le tenebre si contrappongono alla fede. Ma proprio per questo la fede è necessaria: non dono facile, ma conquista drammatica e quotidiana. Il male, in questa prospettiva, è il segno contraddittorio e ultimo che l'uomo non è solo, non è abbandonato. E il perdono, infatti, è capace di cancellarlo.

Una luce brilla nelle tenebre: ci fa pensare a Cristo, il Liberatore, che dopo l'Incarnazione discese nelle profondità dell'Inferno per trarne le anime dei giusti, i patriarchi e i profeti, secondo l'immaginario dantesco. La profezia, in questo senso, è un grande e oscuro ricordo del futuro: l'avvenire dell'uomo, che attraversa tutta la storia, è figlio dell'Avvento.

Capitolo 1 – L'immagine dell'Aquila: Sapienza e Profezia

L'aquila che si leva alla sommità del cielo è, nella Scrittura, immagine potente e ambivalente. È costellazione celeste, ma anche simbolo profetico usato da Ezechiele e da Dante, emblema della Sapienza antica e della visione profetica che scruta i tempi. In Dante, l'aquila diventa segno dell'autorità spirituale e della giustizia divina; in Eliot, essa richiama la forza della Chiesa come profezia che giudica e risveglia.

Eppure, oggi la Chiesa appare come una presenza non desiderata. Il suo richiamo sembra non suscitare più attesa né desiderio. Gli uomini, presi dal lavoro, ne fanno a meno; la sua voce viene ignorata o ridotta a ruolo decorativo, utile solo in occasione di grandi cerimonie, come i matrimoni. C'è in Eliot una vena di ironia tagliente verso questa società che ha smarrito il senso del sacro, che ha confuso il tempo con l'utile e il bisogno con l'efficienza.

Ne La Rocca, la Chiesa appare con forza profetica. È chiamata "la Straniera": perché la sua origine non è di questo mondo e perché, proprio per questo, non è desiderata. È straniera in quanto testimone: ha visto ciò che è accaduto, custodisce la memoria dell'Avvenimento – l'irruzione di Cristo nella storia – ed è proprio questa memoria che la rende vigile, critica, capace di scrutare ciò che deve ancora accadere.

Per Eliot, il male è il deserto. Ma la Chiesa non promette la fuga dalla fatica né dalla contraddizione: si presenta invece come colei che, ricordando Cristo, permette che la fatica della costruzione non sia vana. Essa dà senso alla lotta contro il deserto. Il lavoro dell'uomo, la sua ricerca di senso, trovano risposta solo se riconoscono questo Avvenimento. Senza di esso, ogni costruzione si rivela illusoria, ogni speranza sterile, ogni tentativo di senso destinato allo smarrimento.

La Chiesa, straniera e testimone, si rivolge proprio all'uomo che lavora, per dare un inizio e una fine alla sua strada – cioè un senso. In un'epoca dominata dall'invenzione e dall'esperimento infinito, l'uomo accumula conoscenze sul movimento, ma ignora l'immobilità; conosce le parole, ma ha perso il Verbo; ha imparato il linguaggio, ma dimenticato il silenzio. La nostra sapienza ci ha portati vicini all'ignoranza; la nostra ignoranza, prossimi alla morte. I cicli celesti, dopo venti secoli, sembrano averci allontanato da Dio.

Eliot lo dice con lucidità: "laggiù" – a Londra, nel cuore della modernità – «abbiamo troppe chiese e troppo pochi fedeli». I parroci non servono più. La Chiesa viene considerata superflua. La campagna è dimenticata dalla città, il settimo giorno dedicato non più al riposo o alla preghiera, ma alla gita. È il tempo del consumo, non della contemplazione.

Ma La Rocca si avvicina. È la Chiesa che veglia, la Straniera che ha visto l'accaduto e vede ciò che verrà. È la testimone, la visitata da Dio, in cui è nata la Verità. L'uomo ha davanti a sé due destini: la fatica infinita o un ozio senza senso – che è forse ancor peggio.

Per questo Eliot proclama: "Rendete perfetta la vostra volontà". Non preoccupatevi del raccolto, ma della semina giusta. La lotta tra bene e male è perpetua. E non basta soddisfare la mente razionale e illuminata se poi si disprezza il deserto. Il deserto è nel cuore del fratello. Il bene è colui che costruisce. Se l'uomo non costruisce, come potrà vivere?

Occorre ricostruire il senso: edificare una Chiesa per tutti, e dare a ciascuno un mestiere – un compito, una vocazione, una strada.

Capitolo 2 – La Chiesa nel tessuto della storia

La Chiesa è dentro l'opera del mondo. Non è un corpo estraneo alla storia, ma ne costituisce l'intimo tessuto. Esiste per servire l'opera dell'uomo, che è ricerca di senso, domanda di significato. Non per distrarlo o separarlo dalla realtà, ma per accompagnarlo nella sua fatica esistenziale, nella costruzione di una dimora umana in cui la verità possa abitare.

Contro i cristiani del presente Eliot pronuncia parole severe. Essi siedono, dice, in una casa in rovina. Il poeta, con amaro realismo, evoca l'immagine dell'alveare senza miele: un'immagine che denuncia una fede svuotata, incapace di generare carità concreta. Sono cristiani che si lamentano della difficoltà ad amare il prossimo, rifugiandosi in un'attesa passiva di soluzioni esterne, oppure in un spiritualismo astratto, disincarnato.

È una profezia lucida e dolorosa sul destino del cristianesimo quando si riduce a morale e spiritualismo, dimenticando la sua origine viva. Avete dimenticato la pietra angolare, grida Eliot. Gesù Cristo stesso. In questa dimenticanza sta l'inizio della rovina: rovina delle chiese, ma prima ancora rovina dell'uomo, della sua esistenza.

La Chiesa, per sua natura, deve essere sempre restaurata. Non perché sia manchevole nel suo fondamento, ma perché, essendo immersa nella storia, è continuamente logorata da dentro e aggredita da fuori. Essa ricorda la presenza di un significato e di una verità: per questo è odiata dalle ideologie, e rifiutata da un quotidiano che tende a spegnere ogni slancio. Ma proprio in questo risveglio del senso, la Chiesa libera la vita umana dall'appiattimento e dalla chiusura utopica o idolatrica.

Ogni organismo – individuale o sociale – vive solo in virtù di un'unità interiore. Tale unità si dà quando le singole parti si orientano verso un ideale comune. Ma oggi le case sono in rovina. Molti nascono già destinati a un ozio sterile, amareggiato dal disprezzo, in alveari che non producono miele. La vostra costruzione è imperfetta, ammonisce Eliot: avete edificato, sì, ma avete dimenticato la pietra angolare.

La Chiesa, allora, deve edificare sempre – e sempre decadrà. È un compito senza fine. Perché l'essere nel tempo la espone al logoramento continuo, e la sua verità la espone all'attacco. Essa va ricordata, soprattutto nei tempi di prosperità, quando il popolo dimentica il tempio, e nei tempi di avversità, quando lo accusa.

Non esiste vita senza comunità, e non esiste comunità se non è fondata sulla lode a Dio. Ma oggi nessuno conosce il proprio vicino, nessuno si interessa a lui. Neppure la famiglia, un tempo nucleo solidale, si muove più come unità. Tutto è frammentato. La Chiesa, proprio perché custodisce il senso dell'unità, è chiamata a tenere viva la memoria della comunione. È chiamata a edificare una "dimora di Dio nello spirito", in cui ogni uomo possa riconoscere sé stesso e l'altro.

Capitolo 3 – La generazione smemorata: un affresco profetico

In questo quadro tremendo e inquietante, Eliot dipinge un affresco morale della modernità, lanciando un avvertimento lucido e tagliente. L'immoralità della generazione presente – dice – sta nella dimenticanza. Non nell'errore consapevole, ma nella rimozione del fondamento. Gli uomini si sono distolti da Dio non tanto per ribellione, quanto per indifferenza. Hanno rimosso il significato della vita e hanno cominciato a vivere nel rumore, buttando via bottiglie vuote: metafora amara delle utopie esaurite, dei sogni coltivati senza verità.

La mente viene esaltata, l'azione glorificata. È l'umanesimo rinascimentale, idolatrato nella sua versione decadente: una società che crede nella grandezza dell'uomo ma ha dimenticato il senso del limite. Una diagnosi che riguarda direttamente la società inglese dell'epoca – ma che Eliot sa rendere profetica anche per la nostra. Vi si coglie la stanchezza esistenziale che nasce dall'accalcarsi disordinato verso un progresso senza scopo. Il bene viene misurato in termini di competizione sociale. Si passa così da una vacuità cinica a un entusiasmo febbrile per utopie sociali, costruite su miti biologici o collettivi – la razza, l'umanità, l'evoluzione – come fossero nuovi idoli.

Il poeta non risparmia una nota di sarcasmo verso gli intellettuali: tanti scrivono, stampano, leggono... ma pochi si interrogano davvero. In un mondo ormai cristianizzato solo per abitudine, la Straniera – la Chiesa – assume un ruolo provocatorio: è colei che sa fare le domande. Non impone, non urla, ma interroga. Stimola la libertà, scuote dal torpore. Chiede all'uomo moderno: Che senso ha tutto questo? E la sua domanda si fa ancora più acuta davanti all'unica realtà che non può essere ignorata: la morte. L'evento che mette tutto in questione, che rompe l'illusione di un'esistenza autonoma e autosufficiente.

Qui risuona la voce del Signore – nella forma tagliente del profeta:

"O città miserabile, o generazione sciagurata, uomini colti smarriti nei dedali del vostro stesso ingegno! Vi ho dato mani, e le avete distolte dall'adorazione; vi ho dato la parola, e ne fate infinite chiacchiere; vi ho dato la mia legge, e ne fate contratti; vi ho dato labbra per esprimere amore, e le usate per sospettare. Vi ho dato cuori, e ne fate strumenti di diffidenza. Vi ho dato il libero arbitrio, e non ne fate altro che oscillare tra speculazioni futili e azioni sconsiderate."

L'ironia si fa denuncia: si scrive molto, si stampa molto, ma pochi leggono la Parola. Si costruisce molto, ma non si edifica la casa di Dio. Le chiese diventano case di gesso con tetti ondulati, riempite dei rifiuti dei giornali della domenica. Un culto svuotato, un'apparenza religiosa che non salva.

Eppure, la Straniera resta. Resta come presenza che giudica e insieme salva. È colei che sa come porre le domande, che non accetta le facili risposte dei progetti terreni o delle illusioni fisicalistiche. È testimone della realtà ultima: si può ingannare la vita, ma non si può ingannare la morte. La Straniera – la Chiesa vera – non regna, ma resiste. Non domina, ma custodisce. Non consola con menzogne, ma veglia sull'unico nome che salva.

Capitolo 4 – Edificare nella vigilanza

C'è, nell'opera cristiana, una dimensione ineludibile di lotta e di vigilanza. Non si tratta solo di costruire, ma di costruire mentre si combatte. Il Coro Quattro di La Rocca approfondisce questa tensione: ci sono coloro che vogliono edificare il tempio, e coloro che, apertamente o di nascosto, preferirebbero che il tempio non fosse mai edificato.

I nemici sono fuori, ma anche dentro: fuori per distruggere, dentro per corrompere. Il pericolo non è soltanto l'opposizione esterna, ma anche il sabotaggio interno, l'opportunismo mascherato da collaborazione, la tiepidezza che si presenta come prudenza.

Per questo l'immagine evocata è potente e cruda: la cazzuola in una mano e la spada nell'altra. L'uomo di fede deve edificare come chi è sempre sotto assedio, come chi non può permettersi distrazioni. Costruire il tempio – costruire la comunità, la verità, la casa di Dio nella storia – significa essere pronti a resistere, a difendersi, a vigilare.

È un compito faticoso, spesso solitario, esposto alla delusione e al fallimento. Ma è proprio questa tensione che rende autentica la costruzione. La Chiesa, come ogni opera umana orientata al divino, nasce e cresce in mezzo alla contraddizione. La fedeltà cristiana non è evasione dal conflitto, ma perseveranza nel cuore del combattimento.

Capitolo 5 – Il cuore, la Chiesa, e il dramma della dimenticanza

Eliot, con sobria lucidità, mette in scena il dramma della Chiesa contemporanea: anche le migliori intenzioni non bastano a preservare il cuore umano dalla falsità, dall'impurità, dalla disperata malvagità che vi si annida. È una diagnosi severa, ma realistica, del cuore dell'uomo segnato da una contraddizione profonda – ciò che la fede chiama peccato originale. Nessuna intenzione retta, da sola, può guarire questa ferita.

Il poeta descrive uno stato diffuso: molti "stanno in una casa", ma senza memoria. Ancora una volta, la vera radice della corruzione non è l'errore intellettuale o il male deliberato, ma la dimenticanza. La dimenticanza dell'essenziale. Si dimentica la pietra angolare, Cristo stesso, e così la casa si svuota di senso.

I nemici della Chiesa, dentro e fuori, non fanno che richiamarsi a questa contraddizione per accusarla. Ma è un paradosso apparente: non è scandalo che i cristiani pecchino; lo scandalo, semmai, è voler separare Cristo dalla condizione umana concreta, volerlo relegare al passato, rifiutando che l'Incarnazione continui a operare nel presente.

I serpenti agiscono dall'interno con veleno sottile, i cani dall'esterno con aggressività cieca. Entrambi nascondono la propria vuotezza dietro maschere di intelligenza o azione, cercando elevazione personale invece che verità. Eliot mette in guardia contro l'orgoglio intellettuale, che si crede autosufficiente e quindi impermeabile alla Grazia. In opposizione, propone due virtù semplici e profonde: umiltà e purezza, che rendono possibile l'obbedienza – non come sottomissione passiva, ma come apertura radicale alla verità.

E c'è una figura positiva, discreta: l'uomo semplice, il fedele che ha costruito qualcosa durante il giorno. Quando cala la sera, può tornare al focolare, avvolto dal silenzio benedetto, e addormentarsi nella pace. Ma questo equilibrio è continuamente minacciato. I serpenti e i cani non dormono. Per questo, nella Chiesa, alcuni devono edificare e altri devono vegliare, con la lancia in mano.

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