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martedì 14 ottobre 2025

Dilexi te. Breve commento.

L'Esortazione Dilexi te è una profonda meditazione sull'amore di Cristo per i poveri, sull'identificazione del Signore con gli ultimi e sulla chiamata della Chiesa a condividere questa predilezione divina. Il titolo stesso, "Ti ho amato", ripreso dall'Apocalisse, racchiude il cuore del messaggio: Cristo si rivolge ai poveri, ai deboli e agli esclusi per dire loro che, nonostante la loro fragilità, sono amati in modo unico. In questa parola si manifesta l'essenza stessa del Vangelo, che capovolge le logiche del potere e della ricchezza: Dio sceglie ciò che è piccolo e disprezzato per rivelare la grandezza del suo amore.

Sin dall'inizio, il testo sottolinea che l'amore per i poveri non è un gesto di filantropia o di beneficenza, ma un atto di fede. Non si tratta di un'opzione morale, ma di una verità rivelata: Cristo stesso è presente nei poveri. Quando Gesù dice: "Tutto ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me", rivela che l'incontro con i poveri è l'incontro con Lui. Per questo motivo, ogni gesto di misericordia acquista un valore eterno: ungere il capo del Signore, sfamare chi ha fame, consolare chi soffre — tutto diventa atto d'amore verso Dio stesso.

La Scrittura intera testimonia questa predilezione divina. L'Antico Testamento mostra un Dio che ascolta il grido degli oppressi, che libera gli schiavi, che difende la vedova, l'orfano e il forestiero. Nei profeti, Dio denuncia i ricchi che accumulano e dimenticano i deboli. Tutto questo trova compimento in Gesù di Nazaret, il "Messia povero": nato in una stalla, senza dimora, amico dei peccatori e dei malati. Egli non solo si prende cura dei poveri, ma condivide la loro stessa sorte. "Da ricco che era, si è fatto povero per voi", scrive san Paolo, "perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà". È nella debolezza che Cristo manifesta la potenza dell'amore di Dio.

Questa scelta di Cristo diventa anche il criterio della santità. La parabola del giudizio finale è inequivocabile: saremo giudicati sull'amore concreto verso chi ha fame, sete, è nudo o prigioniero. La fede senza opere è morta; la vera adorazione si compie servendo la carne ferita di Cristo nei poveri. Perciò la Chiesa, se vuole essere fedele al suo Signore, deve essere "povera e per i poveri", come auspicava Papa Francesco. I santi, da Francesco d'Assisi a Vincenzo de' Paoli, da Basilio a Camillo de Lellis, hanno testimoniato che non si può amare Dio senza condividere la sorte degli ultimi.

Anche oggi, la povertà non è solo mancanza di mezzi, ma esclusione, solitudine, perdita di dignità. A questa realtà la Chiesa è chiamata a rispondere non con parole, ma con presenza. Cristo continua a dire ai poveri "Ti ho amato", e attende che i suoi discepoli rendano visibile questo amore con gesti concreti di vicinanza, giustizia e tenerezza. Solo riscoprendo nei poveri il volto di Cristo, la fede ritrova la sua verità, e la Chiesa diventa davvero il segno dell'amore di Dio nel mondo.


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