Lettera dell'Arcivescovo Castellucci alla città per la Solennità di S. Geminiano 2025
L'Arcivescovo Erio Castellucci, nella sua Lettera alla città per la Solennità di San Geminiano 2025, riflette sul tema della morte e della speranza. Prendendo spunto dal bassorilievo del Duomo di Modena, ricorda la morte serena di San Geminiano e il concetto cristiano del "dies natalis", inteso come nascita alla vita eterna.
Castellucci analizza il rapporto della società contemporanea con la morte, spesso rimossa o spettacolarizzata dai media. Richiama il pensiero di Epicuro, che minimizza la morte, e quello di Heidegger, che ne sottolinea l'angoscia. La fede cristiana, invece, la vede come un passaggio verso la pienezza della vita.
L'Arcivescovo evidenzia l'importanza dell'accompagnamento nel fine vita, lodando le cure palliative e le reti di solidarietà, specialmente nelle comunità modenesi. Sottolinea il valore dell'amore e della speranza, che rendono più umano e significativo l'ultimo tratto della vita. Infine, invita i cristiani a essere "pellegrini di speranza" nel Giubileo, seguendo l'esempio di San Geminiano.
I passi più belli di questa lettera:
La fede cristiana, da parte sua, offre una prospettiva di grande speranza: la morte non è un muro contro cui vanno ad infrangersi sogni, sacrifici, desideri, sofferenze e gioie, progetti e speranze; è piuttosto un ponte, alto e vertiginoso, che conduce a un'altra sponda, dove troverà pienezza ciò che è stato costruito giorno per giorno nella vita terrena. Tutti i germi di amore e di bene, tutti i gesti di solidarietà e di giustizia, avranno compimento. Cristo arriva a dire che nemmeno il dono di un bicchiere di acqua fresca resterà senza ricompensa (cf. Mt 10,42). Se già le Scritture ebraiche, nello stupendo Cantico dei Cantici, erano giunte ad affermare che "forte come la morte è l'amore" (Ct 8,6), il messaggio e la persona di Cristo dicono ancora di più: "più forte della morte è l'amore". Per chi crede nel Signore morto e risorto, la morte è ormai parola penultima: inquietante e tuttavia penultima. L'ultima parola è la vita, la risurrezione, l'amore che vince. La speranza nella vita eterna sostiene i credenti e apre prospettive per tutti, anche per le moltitudini che in questa vicenda terrena sono emarginate e scartate, subiscono angherie e ingiustizie, nascono e vivono in situazioni svantaggiate e degradate. Se la morte fosse davvero la fine di tutto, non ci sarebbe riscatto per loro e trionferebbero per sempre coloro che operano il male. Questa è la "grande speranza" cristiana: non solo per se stessi e per i propri cari, ma per tutti gli esseri umani.
La differenza, in una parola, è l'amore. Quando gli ultimi tratti del percorso della vita sono intrisi di amore dato e ricevuto, si riempiono di senso. Rispetto alla prospettiva di un tempo di vita lungo, diventa allora più importante la profondità del tempo residuo. Quando il morire si intreccia con l'amore dato e ricevuto, si aprono spazi di perdono, di gratitudine, di spiritualità e perfino di gioia. Il velo di mestizia che inevitabilmente si posa sugli ultimi passi della vita, è attenuato e quasi compensato dal velo di letizia che la ricchezza delle relazioni intesse in quella fase dell'esistenza. Una parola che spesso ricorre sulle labbra delle persone che sperimentano come il loro tempo residuo, o quello dei loro cari, si riempie di relazioni buone, è la parola "speranza". Non è un caso, perché la speranza si radica sempre nell'amore.
Ai cristiani lo illustra incisivamente San Paolo: "la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rom 5,5). La fonte della speranza non illusoria, regalata a tutti gli esseri umani, è l'amore di Dio. Il credente sa che la speranza non si estirpa mai, nonostante tutte le sventure, perché ha le sue radici in Dio. Ma anche chi non crede sperimenta che la speranza si nutre dell'amore e resiste finché si può confidare nella possibilità di amare e di essere amati. L'amore è davvero più forte della morte.
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