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venerdì 31 gennaio 2025

Messaggio di SPERANZA per la veglia di San Valentino 15/02/25 Modena

Filippo:

Carissimi,

essere qui con voi questa sera, presso la cattedra di San Geminiano e di Santa Maria Assunta in Cielo, è per me ed Eleonora un'emozione immensa. Siamo profondamente grati di poter condividere con voi la nostra esperienza di sposi e di speranza, consapevoli che ogni nostra storia è intrecciata nella grande storia d’amore che Dio ha per ciascuno di noi.

Mi presento: sono Filippo, e questa è mia moglie Eleonora. La nostra storia è iniziata 16 anni fa, il 25 aprile. Tutti festeggiavano la Liberazione, noi ci siamo legati. Quel giorno ci siamo fidanzati, e il 25 è diventato un numero speciale per noi. È il giorno della nascita di Cristo! Un segno che abbiamo voluto imprimere anche sul nostro matrimonio, celebrato il 25 maggio di 12 anni fa.

Quel giorno è stato per me il più emozionante della vita, persino più della nascita dei nostri figli. Dopo quel sì, la nostra famiglia è cresciuta: sono arrivati Giosuè, Tobia ed Ester, i nostri tre figli, tutti battezzati, non a caso, il giorno 25. Giosuè ha la stessa radice ebraica del nome Gesù, che significa “Dio Salva”.

Eleonora:

Oggi non siamo qui per raccontarvi una semplice storia di numeri o un racconto romantico. Siamo qui per condividere con voi la nostra esperienza di speranza, quella speranza che si costruisce anche attraverso il dolore e la difficoltà. Siamo consapevoli che non può esserci Pasqua, senza croce; per godere appieno della Resurrezione ci è chiesto di passare attraverso la prova. Di viverla, di accettarla, senza provare ad evitarla, perché nella realtà opera una forza misteriosa, ma reale, che è la Grazia di Dio.

Otto anni fa, ci siamo trovati a vivere il momento più difficile della nostra vita. Nel giro di poche settimane, abbiamo scoperto che uno dei nostri figli aveva avuto un ictus e che la mia mamma era malata di linfoma, una malattia che l’ha portata via dopo un anno. Era il 2017, e nei mesi che seguirono ci sembrò di precipitare nel vuoto, come quel bambino che San Geminiano salvò dalla Ghirlandina. Anche noi avevamo bisogno di qualcuno che ci afferrasse e ci sollevasse.

Ci sembrava che ogni speranza fosse svanita, che la vita che sognavamo e la vocazione che cercavamo di realizzare fossero ormai perdute e tradite. Ci trovavamo immersi nella prova, accompagnata dalla tentazione di credere che tutto fosse inutile e che fossimo abbandonati. Smarriti nel nostro dolore, ci siamo chiesti: perché? Perché proprio a noi? Perché nostro figlio? Perché mia madre?

Eppure, in queste domande abbiamo salvato la nostra speranza, la nostra ricerca di senso. Non ci siamo limitati a gridare contro Dio per sfogare il dolore e la delusione, ma abbiamo chiesto con sincerità di comprendere, di intravedere un disegno più grande. Dio ha accolto il nostro grido di angoscia e, paradossalmente, è proprio da quel grido che nasce la forza della preghiera. Nel dolore, la preghiera diventa più intensa, più vera. In questo contesto il dolore stesso può trasformarsi in un dono: ci spinge a rivolgerci a Dio, a cercarlo con più ardore e ad accrescere la nostra fede.

Anche nel mezzo delle tragedie, Egli risponde, e la sua risposta cambia tutto. Nulla accade per caso: ogni evento trova il suo senso all'interno del disegno divino, che ci guida e ci aiuta a superare gli ostacoli. 

Anch'io, nel mio cammino di fede, ho sperimentato una crescita profonda attraverso le prove che la vita mi ha posto davanti. Persino i momenti più oscuri rientrano nella Provvidenza divina: quando ci sembra di aver perso la meta, in realtà è il nostro sguardo ad essersi distolto. La meta resta sempre lì, immutabile. Siamo noi che dobbiamo imparare a non perdere la speranza.

L’angelo disse a Maria: “Nulla è impossibile a Dio”, e noi ne siamo testimoni diretti. Quando arrivò la diagnosi di nostro figlio, ci dissero che probabilmente non avrebbe mai parlato né camminato in autonomia. Nessuno credeva che potesse comprendere o che il suo sviluppo cognitivo fosse nella norma. Eppure, oggi nostro figlio ha sfidato gran parte di queste previsioni, realizzando progressi che la scienza non sa spiegare.

Filippo:

Quanti pellegrinaggi in bicicletta abbiamo fatto da Cittanova a Cognento per affidarci alla fonte del nostro santo! Ci sentivamo smarriti, sopraffatti dalle difficoltà: gestire un bambino con una diagnosi così complessa, affrontare le cure per la nonna, divisi tra notti insonni e giornate senza fine; tra la malattia e la morte; tra la sofferenza e la rabbia; tra la gioia e la speranza; tra la grandezza e la piccolezza dell'uomo; tra i nostri limiti e i nostri carismi nascosti.

In quegli anni bui abbiamo toccato il fondo, ma abbiamo anche trovato la forza per risalire. Le esperienze più vere non si possono scavalcare. 

Ci siamo interrogati sulla nostra fede. Era rimasta solo una bella idea, o era diventata vita concreta? 

Davanti ai nostri perché, Signore, ci hai mostrato lo scandalo e la stoltezza della Croce. Ci hai mostrato la sofferenza del Figlio che porta alla resurrezione, alla vera vita, alla vita eterna, che già ora viviamo con le sue gioie e i suoi dolori. Abbiamo gridato, e Tu hai ascoltato il nostro grido. Quando rischiavamo di perdere la strada, ci hai ricolmati della grazia del sacramento che avevamo celebrato anni prima.

Abbiamo imparato che la fede non è tenebra, ma luce. Che la preghiera non è solo parole al vento, ma forza concreta che si fa sentire, grazie anche a chi ci è stato accanto pregando per e con noi. 

Il Signore ci ha dato una nuova prospettiva sulla vita.

Negli anni, la sfida educativa con i nostri figli ci ha insegnato che per essere felici non bisogna fuggire dalla realtà, ma affrontarla con coraggio e fede. Quando è nata Ester, dopo quel periodo terribile, è stata per noi un segno di speranza.

Carissimi, tutto questo non significa essere ingenui. Il cristiano non è un ottimista a prescindere, ma un realista che si aggrappa al Signore. È colui che confida nella forza che viene da Dio anche quando tutto sembra perduto, perché, come dice San Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte.» 

Concludo ricordando un passaggio che abbiamo scelto come canto al Vangelo il giorno del nostro matrimonio, tratto da Romani 8:

«Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (…) Niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.»

Guarda caso pochi versetti prima dice: "Nella speranza siamo stati salvati!" che è il tema di questa serata e della lettera alla città del nostro vescovo.

Come avete sentito, la speranza cristiana non elimina il dolore, ma dà significato alla vita. Ci ricorda che non siamo abbandonati al caso, ma amati da Dio. È una speranza che non delude, che si alimenta con la preghiera e ci sostiene nelle difficoltà.

Auguriamo a tutti voi di incontrare Cristo Vivo, morto e risorto per noi, e lasciarsi guidare da una speranza che illumina il cammino verso la vera vita.

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