giovedì 26 dicembre 2013

La cultura cattolica, la grande assente.

Riflessione a seguito della lettura del saggio di Gianfranco Morra “La cultura cattolica e il nichilismo contemporaneo” ed. Rusconi del 1979. Durante la lettura del saggio è facile trovare forti analogie col tempo che stiamo vivendo oggi.

Non ce ne rendiamo conto ma chiamiamo progresso ciò che è degenerazione.
Ma dove sono i cattolici? Sembra che larghe aree della cultura cristiana non siano coscienti della gravità della situazione e della progressiva emarginazione dei valori cristiani della società. Pare che la cultura cattolica abbia perso la battaglia, sia sul piano cultura che sul piano politico, preoccupata del problema del potere e del numero: il partito cristiano non è una necessità, ma lo abbiamo capito tardi.




Oggi, la Chiesa è vista come un ostacolo (appena esprime la sua opinione sulla morale sociale ecco che riesplode l’anticlericalismo) o come uno strumento di cui servirsi: ma una Chiesa amata dal mondo non sarebbe più Chiesa, un papa esaltato da tutti non viene capito per ciò che è, ma giudicato dalle apparenze.
La crisi non è solo fuori ma anche dentro la Chiesa: è importante curare la formazione degli educatori e operatori nelle nostre parrocchie. I temi del divorzio, dell’aborto, delle tesi marxiste sono inconciliabili con l’essere cristiani.
Siamo immersi in un’epoca di secolarizzazione radicale che espelle sempre più i valori religiosi dalle sfere della vita individuale e sociale. Una società atea non rispetta la religione, ma vuole porsi al suo posto. Nascono così le ideologie e l’individualismo radicale. In quanto atea, la società attuale è tendenzialmente totalitaria, con tutto ciò che ne consegue: pianificazione culturale, educativa, economica, morale… Si potrebbe definire un totalitarismo morale, che fa si che le minoranze vengano rinchiuse in ghetti.
La chiesa non può far altro che dare risposte chiare e precise: carità nella verità (titolo dell’enciclica di Ratzinger, ndr). Il fatto che oggi la religione non sia più uno stato civile, ma una scelta libera e personale, la rende pura, ma ciò richiede una chiara enunciazione di principi e pratiche coerenti con la fede.
I rischi che corrono i cristiani sono: rifiutare il passato e la tradizione, complesso di inferiorità (confinamento nel privato), clericalismo, sentimentalismo (mancanza di rigore, valutazione in base alle mode e all’emotività), populismo. Il Vaticano II, nonostante la ventata di novità, ha generato molti fraintendimenti. Occorre recuperare l’identità cristiana, occorre conoscere il mondo per riorganizzare l’evangelizzazione, rifiutare il primato politico e ripartire dai piccoli gruppi.
Il cristiano non può essere ottimista in senso mondano, perché la croce per il mondo è sconfitta. Non può essere nemmeno pessimista, in quanto la resurrezione distrugge ogni pessimismo.

L’evoluzione della cultura e della società (civiltà).
La massima presenza dei valori cristiani nel temporale si ebbe nei secoli definiti ideologicamente “medioevo”.
Per la cultura ellenica (greco-romana) e per la cultura ebraico-cristiana il fondamento del reale è una Realtà spirituale, autonoma e potente (Nous, Logos, Idea, Uno, Dio): primario è lo Spirito e la materia è secondaria e derivata (non-essere o creatura);
La cultura moderna, gradatamente, capovolge questo rapporto: il rapporto non va più dall'alto al basso, ma dal basso (fattori materiali) all'alto (fattori spirituali); l'uomo, che pur è la più alta essenza spirituale, deriva dalla materia per un processo evolutivo (Darwin - uomo prodotto da circostanze casuali e ambientali), dai rapporti economici di produzione come sovrastruttura (Marx – uomo prodotto dei rapporti sociali), da una sublimazione distorta dell'istinto sessuale o libido (Freud - l’uomo è un istinto represso, attivo, bestiale, infantile alogico e sessuale);
Assistiamo alla « morte dell'uomo »: l'uomo perde la sua natura, in quanto diviene il risultato di un processo in cui l'ameba si è perfezionata, la dialettica economico-sociale lo ha determinato e il meccanismo degli istinti e delle pressioni lo ha prodotto; ma insieme con la natura scompare quel diritto naturale, che era pur sempre l'ultima difesa della dignità della persona umana.
In una situazione del genere, il cristianesimo poteva porsi nuovamente come forza animatrice della civiltà. Era necessario un progetto globale, che partisse dalla consapevolezza della fine dell'epoca sacrale e cercasse di inserire il messaggio cristiano anche nell'epoca profana (l'utopia della "nuova cristianità", enunciata da Maritain nel decennio 1930-1940).
Maritain parte dal riconoscimento pieno che il mondo moderno, soprattutto per opera dei Tre riformatori, e cioè di Lutero, Cartesio e Rousseau, ma anche di Kant e di Marx, si è configurato come una radicale cultura anticristiana: « Sembra giunto il momento, per il cristianesimo, di tirare tutte le conseguenze dal fatto che il mondo uscito dal Rinascimento e dalla Riforma, ha terminato di separarsi da Cristo. Esso non ha alcuna solidarietà da accettare nei confronti dei principi di corruzione che travagliano un mondo che si ha motivo di considerare come il cadavere della cristianità medievale ».
Il cristiano è, per definizione, antimoderno ma ciò non significa passatista o conservatore (cosa mai conservare del mondo moderno? ); significa, piuttosto, rivoluzionario e reazionario, ultramoderno, nel senso che si deve essere proiettati verso un futuro (la "rivoluzione" cristiana), che volga le spalle (la "reazione" cristiana) alla perversione moderna. Se, infatti, la cultura medievale è finita ed irrecuperabile, una « nouvelle crétienté » potrà nascere solo dalle ceneri della cultura moderna. Quando il marxismo propone una civiltà totalmente secolarizzata, apre la strada al totalitarismo; ma quando Barth distacca totalmente la fede dalla religione e dalla cristianità, egli rende la fede sterile e la confina nell'intimità del soggetto. E’ necessario, invece, fare nascere una nuova cultura, interna alla civiltà secolare e profana, ma capace di incarnarvi i valori cristiani e di salvaguardare sia il carattere soprannaturale della Chiesa sia la legittima autonomia delle realtà temporali.
È noto che la forma di convivenza sociale più idonea per tale operazione viene da Maritain ritrovata nella democrazia. Non già la vecchia democrazia, individualistica e borghese, prodotta dall'illuminismo e rifiutata una volta per sempre dal Sillabo (1864); ma una nuova democrazia che solo in un « tempo molto lontano » potrà realizzarsi. Per accogliere nel suo seno l'animazione cristiana; infatti, la democrazia deve essere, secondo la nota affermazione di Cristianesimo e democrazia, « personalistica, comunitaria, pluralista e teistica ». E Maritain era troppo realista per illudersi circa l'immediata attuazione di un simile progetto di « Stato laico cristianamente costituito ».
L’incontro tra democrazia e cristianesimo non si è mai tradotto in un’animazione cristiana della democrazia, ma della perdita dei valori cristiani.
Oggi l’ateismo e l’indifferenza sono un fenomeno di massa. Gli elementi della morale religiosa sono andati perduti. L’uomo è al centro, crede solo a ciò che sente e prova, predilige solo ciò che dice la scienza e la tecnica, diffondendo così l’opinione che tutto può essere fatto e che le cose vanno anche senza Dio.
La festa non è più un tempo sacro ma un giorno in cui non si lavora. La festa non è santificata ma consumata. La religione viene relegata a piccoli gruppi e nel tempo libero. I cristiani hanno il compito nell’epoca attuale di riorganizzare la propria fede (sorretta dalla grazia) in una società che non la sostiene più.
Non si accetta più una verità, ma tante verità relative. L’uomo areligioso si ritiene l’unico operatore della storia e rifiuta qualsiasi richiamo alla trascendenza.
Non è più, la civiltà nostra, pre-cristiana, ma post-cristiana. Solo demitizzando i miti inautentici e miscredenti di questa civiltà (scientismo, storicismo, evoluzionismo, progressismo, autonomia…) che sarà possibile porre l'uomo contemporaneo nelle migliori condizioni per un recupero religioso. Non è un paradosso affermare che l'uomo contemporaneo, passato dalla credenza attraverso l'indifferenza alla miscredenza ha bisogno di ritornare dalla miscredenza alla credenza attraverso l'indifferenza nei confronti di quegli idoli contemporanei che non vanno blanditi o corretti, ma rifiutati e smascherati.
In questa opera di recupero il cristiano trova nel "paradosso" della fede la migliore garanzia, in quanto sa che « ciò può essere impossibile per gli uomini; ma non per Dio, per il quale tutto è possibile » (Mc. 10,27): « I momenti più importanti nella storia dell'uomo, di questa possibilità personificata, sono i cambiamenti che accadono così, causati da forze dapprima invisibili e inosservate.
Da Galileo, da Cartesio e da Bacone, prende l'avvio lo scientismo moderno, con quel nascondimento del "mondo della vita", che non consente più di vedere I'uomo, ma solo aspetti parziali e misurabili dell’attività umana.
Rifiutando Dio, l’uomo non sa più chi è (notiamo le recenti novità introdotte dalla teoria del gender, ndr). L’uomo non sa più cos’è, non sa più da dove viene. Mentre per le antropologie ellenica e giudaico cristiana lo spirito è autonomo e non deve alla realtà materiale la sua realtà.
Se i secoli della modernità hanno reso sempre più oscura l'eclissi della ragione, di pari passo è andata la secolarizzazione del soprannaturale, sottratto ormai all'escatologico e divenuto ideologia del mondano. Dio vivente e verace si è storicizzato e socializzato; Cristo è stato umanizzato totalmente e la storia divinizzata.
La religione diviene così un elemento del progetto politico; Habermas: « L'idea di Dio è preservata nel concetto di un logos che determina la comunità dei credenti e con ciò il reale contesto di vita di una società che si emancipa; Dio diventa il nome di una struttura comunicativa che costringe gli uomini, pena la perdita della loro umanità, a trascendere la loro natura empirica, accidentale, incontrandosi gli uni con gli altri mediatamente, ossia tramite qualcosa di oggettivo, che con essi non si identifica ».
I "nuovi cieli" e la "nuova terra" vengono identificati con il progresso mondano, anche se colorito religiosamente; "l’altro mondo" diviene un "mondo altro", alla cui promozione umana tutti possono concorrere, indipendentemente dalla evangelizzazione.
Quella ascesi di coscienza, che era sollecitata dalla tensione verso una Realtà inaccessibile e pur presente, viene dimenticata per un impegno nel temporale e nel provvisorio, mediante la utilizzazione delle tecnologie per scopi di sempre accentuato benessere. L'epoca della modernità, nel suo carattere prevalente, vede il trionfo di una cultura sensista — che è la cultura più ostile alla filosofia. Non a caso il sapere scientifico permane, anche se spesso diviene scientismo; e il sapere religioso continua ad attrarre, anche se molto meno che nel passato, perché si esprime quasi sempre in termini fideistici. Il sapere filosofico appare, invece, nella civiltà sensista attuale, come il grande assente.
Assistiamo oggi ad una crisi causata dall’ideologia radicale (negazione dei valori, individualismo…). Questi i suoi aspetti principali: rifiuto della legge naturale, rifiuto dell’autorità (del padre), rifiuto del peccato originale (deresponsabilizzazione), morale della situazione (ogni norma viene messa in dubbio per giustificarsi) non ci sono più valori oggettivi (Nietzsche – nichilismo), fino alla divinizzazione del peccato (De Sade). Amore, parola magica che apre tutte le porte (se c’è “amore” tutto è consentito). Divinizzare l’uomo significare rendere impossibile la morale.
La morale in sé non è la salvezza ma consente una convivenza umana meno negativa e violenta. Il fine ultimo dell’uomo non è la morale ma la beatificazione. La morale laica, è una morale cristiana senza soprannaturale.
Il mondo classico non ebbe una tecnologia perché non volle. La scienza ellenica e medievale furono prevalentemente contemplative. Il loro scopo non era la trasformazione della natura, ma la conoscenza del cosmo (non sfruttamento ma adattamento alla natura). Nell’epoca moderna la scienza ha avuto la pretesa di essere il sapere assoluto (scientismo), di essere una scienza atea, forte legame con lo sfruttamento della natura. La scienza contemporanea ha perso questa pretesa assolutistica, perché non ha saputo rispondere agli interrogativi dell’uomo. La scienza ha fatto fuori il sapere religioso e metafisico, facendo poi la stessa fine.
La tecnica viene in soccorso della scienza cercando di rendere gli uomini “morali” e “su misura” grazie all’ingegneria genetica. Non esistono più ideali ma ideologie con la conseguente crisi della politica.

Scuola e Libertà di educazione (principi non negoziabili…, ndr).
Criticità significa necessariamente pluralismo: non quello decantato e apparente della pseudodemocrazia laicista, ma quello reale e sostanziale, che trova nel rispetto per l'altro il suo fondamento. È chiaro, infatti, che l'introduzione di un genuino pluralismo culturale è la premessa necessaria per fare della scuola uno strumento di maturazione e di crescita umana e sociale. Parlo di un duplice pluralismo: pluralismo nelle scuole, capace di superare l'egemonia totalizzante e antidemocratica della scolastica liberai-radicale e marxista; pluralismo di scuole, per dare realmente a tutte le famiglie la possibilità di scelta del tipo di educazione da offrire ai loro figli (come afferma l'articolo 29 della Carta Costituzionale) .
Una soluzione politica. Non basta una riforma legislativa: sarebbe necessaria la formazione e maturazione di una genuina coscienza democratica, che in Italia è ancora lontana; e sarebbe necessario che detenesse il potere un partito democratico e cristiano, capace di operare nel rispetto della autonomia legittima del temporale e insieme nella fedeltà ai principi; in grado di realizzare progetti scientificamente fondati e non improvvisati da persone incompetenti o pressappochiste; superiore alle tentazioni del potere ad ogni costo, ai giochi delle correnti e alla demagogia populistico-emotiva.
In tale pluralismo il cristiano dovrà inserirsi con gaudio e speranza, pronto a cogliere dovunque i "segni dei tempi".
Occorre un cambiamento delle associazioni cattoliche, disgregate e senza aggiornamento, che le trasformi da istituzioni di una società cristiana in movimenti profetici di minoranza, volti alla realizzazione di un nuovo cristianesimo, adeguato ai tempi secolarizzati, ma non inginocchiato di fronte al mondo.
Un altro fatto negativo è la crisi della identità cristiana, che ha condotto, per un malinteso complesso di inferiorità, non poche associazioni ecclesiali a non avere più, di cattolico, se non il nome; a rifiutare il magistero della comunità ecclesiale; a porsi al servizio delle forze anticristiane; a gettare nel bidone una ricca tradizione di teologia e di filosofia, di costume e di liturgia, non già per "aggiornarla", ma per trasformarla in una retrograda parassitaria di quella tradizione non cristiana che lo stesso pensiero laicista da tempo considera, almeno in parte, superata e non più utilizzabile.
Il pericolo costante del cattolicesimo è il ritardo culturale, al quale si può rimediare solo con la riconquista di quella identità cristiana, che costituisce l'unum necessarium per la fondazione di un progetto educativo nuovo e alternativo. La riconquista dell'identità non cela alcun progetto di esclusione o di settarismo; intende solo non mimetizzare il cristiano, non camuffarlo, perché possa parlare il linguaggio chiaro del Vangelo, in una totale disponibilità per l'altro, ma alla luce della Verità rivelata e custodita da quella tradizione che è Chiesa.
Il cristiano non si deve lasciare intimorire dalla trappola ricattatrice del pensiero laicista, che accusa di integralismo chiunque voglia essere cristiano senza aggettivi. A questa accusa il cristiano può con serenità rispondere: se integralismo significa fanatismo e clericalismo, certo non lo sono, anche se so dove andarlo a cercare; ma se integralismo significa coerenza e decisione, rifiuto di compromessi, allora il mio integralismo coincide con il mio cristianesimo. Tradizione è innovazione.
Ma la riconquista dell'identità non può restare un fatto privato e nascosto. Deve tradursi in una genuina comunione ecclesiale, dato che non v'è cristianesimo senza Chiesa. Il cristiano non si isola e non si emargina, ma si riconosce nel popolo di Dio, vede in ogni uomo il volto di Cristo, si accosta con disponibilità e servizio ai pastori, fratelli nella fede, e al papa, vicario di Cristo sulla terra. A chi lo accusa, allora, con un nuovo anche se logoro e scontato ricatto, di essere un conservatore, il cristiano risponde che ben poco v'è da conservare, oggi, in ciò che la società e la scuola sono diventate. Il progetto cristiano non è conservatore, ma innovatore sulla base della tradizione (= portare avanti) popolare.

Identità e comunione, infine, per svolgere un progetto di liberazione. Il cristiano non vuole una scuola accademica, né burocratica, né ideologica, ma una scuola che educhi integralmente la persona: una scuola di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, capace di liberare dai limiti dell'egoismo, dalle necessità materiali, dall'ignoranza intellettuale, dal disordine morale — da tutto quanto ostacola la crescita della persona, il cui fine ultimo non è naturale o storico o mondano. Una scuola che liberi nell'uomo una dimensione più alta e profonda, alla luce di quella speranza cristiana, che non può essere confusa con nessuna attesa mondana.

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